Brindisi

brìn-di-si

Significato Rituale d’augurio con cui si alzano i bicchieri, facendoli eventualmente toccare; discorso pronunciato in accompagnamento del rito; per estensione musica, di carattere brillante e conviviale, eseguita in tali occasioni

Etimologia dalla locuzione tedesca (ich) bringe dir’s, ‘lo porto a te’, sottinteso il bicchiere, ossia ‘lo bevo alla tua salute’.

Si tratta forse del più forte e comune fra i riti d’augurio rimasti nella nostra cultura, legato com’è alle gioie conviviali, e già sottintende quella formula che siamo soliti pronunciare levando i calici: alla salute, ma non solo. Il brindisi porta una leggera e ridente forma di sacrificio che si rivolge sempre a qualcosa; il brindisi non è un semplice bere.

Molto prima che Giuseppe Verdi componesse il Brindisi della Traviata o Pietro Mascagni quello della Cavalleria rusticana, si brindava alla salute, per onorare gli dei o per celebrare i defunti. È un gesto antico almeno quanto il vino.

Conosciamo le libagioni riportate dalla Bibbia e, in ambito pagano, il culto di Dioniso, Bacco per i Romani. Era accompagnato dalle baccanti nonché da torme di satiri, fauni e sileni che si deliziavano inseguendo le ninfe e gustando il nettare fermentato dell’uva, i cui tralci carichi di frutti adornavano il capo del dio. Di solito queste combriccole si ricreavano al suono di auloi, siringhe, flauti e buccine. Anche nella vita reale i Greci e i Romani potevano bere accompagnati da musica e danze.

Fotogramma di ‘Fantasia’ (1940), dalla sequenza della ‘Sinfonia Pastorale’ di Beethoven.

Il vino è elemento essenziale di molte liturgie e spesso è parte integrante della celebrazione del sacro. L’etimologia di sacro deriva da sacer, che indicava non ciò che è santo, ma ciò che è stato dichiarato intoccabile. È un concetto complesso e Umberto Galimberti utilizza, per spiegarlo, anche gli aggettivi ‘separato’ e ‘diviso’. Ciò che era consacrato, sia che fosse buono oppure cattivo, diveniva inviolabile affinché non fosse contaminato o, al contrario, per non rendere impuro colui che lo toccava.

In tempi moderni il brindisi è consumato come un felice e innocente gesto propiziatorio. L’elemento sonoro, complemento degli antichi riti solenni, sopravvive nel festoso tintinnio dei bicchieri e, come sappiamo, si usa volentieri anche l’espressione cincin.

Nel Medioevo giullari e goliardi d’Oltralpe cantavano lodi al vino del Reno oppure, a latitudini estreme, celebravano in musica il piacere che si prova ‘baciando’ una bottiglia, come nel canto islandese Ó, mín flaskan fríða!

Nella loro ricchissima lingua, i tedeschi chiameranno queste genere musicale con un termine specifico: trinklied — qualcosa come ‘canzone del bere’ — che non ha una parola equivalente nella lingua italiana. Pare che la locuzione originaria bringe dir’s sia stata introdotta in Italia nel Cinquecento dai soldati mercenari svizzeri e, ovviamente, tedeschi. Da noi la musica che accompagna questo momento finì per mantenere la denominazione dell’occasione, ‘brindisi’ appunto.

Nel Rinascimento fiorirono numerosi trinklieder in tutta Europa; Juan Ponce musicò Ave color vini clari, testo su cui si cimentò anche il grande fiammingo Orlando di Lasso, mentre ad Arnold von Brucke si deve So trinken wir alle, solo per citare uno fra i titoli in voga all’epoca.

Nel Seicento in Francia ebbe diffusione l’Air à boire e, dopo il successo riscosso nell’Ottocento grazie al melodramma, abbiamo avuto diverse propaggini del brindisi musicale. Per esempio, nel 1937 Carl Orff s’ispirò all’antica melodia medievale In taberna quando sumus per i suoi celeberrimi Carmina burana.

Sembra che non c’entri nulla, invece, la vivace città di Brindisi, che deve il suo nome all’antico popolo pugliese dei Messapi. Secondo alcune fonti, l’urbe salentina «est enim simillimum cervino capiti, quod sua lingua Brunda dixerunt», ovvero assomiglia(va) alla testa di un cervo, che in messapico si diceva brunda.

Parola pubblicata il 01 Gennaio 2023

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