Commento
com-mén-to
Significato Riassunto critico di un avvenimento o di un’opera; insieme di note esegetiche; espressione di un’opinione su certi fatti, anche come pettegolezzo; nel cinema e in teatro, accompagnamento di immagini, parlato o in musica
Etimologia voce dotta recuperata dal latino commentum ‘invenzione, trovata’, propriamente participio passato di comminìsci ‘ideare, inventare’, dalla stessa radice di mens ‘mente’.
Parola pubblicata il 29 Ottobre 2023
La nostra tendenza a dare d’impressione inquadramenti etimologici può condurre ad abbagli: ‘commento’ è una parola comunissima, la viviamo ogni giorno lessicalmente e praticamente, e così è difficile che attiri la nostra attenzione. Ma nel momento in cui lo facesse, probabilmente ci fermeremmo in schietta contemplazione: com-mento (leggeremmo), un atto di annotazione e aggiunta che si sostanzia nell’applicazione di una mente, addirittura unione di una seconda mente a una prima. Non è autoevidente?
Ecco, la suggestione ci porta fuori strada: l’etimologia è parecchio più complessa e obliqua — questa in modo particolare rende una serie di parallele e intrecci.
Il commentum latino nasce come participio passato del verbo comminìsci (un derivato della stessa radice di mens ‘mente’) che ha i significati di ‘immaginare, ideare, escogitare’. Peraltro (si trova annotato) inclina questi significati in maniera tendenzialmente poco rassicurante — è un escogitare soprattutto espedienti, menzogne, delitti e amenità simili. In questo quadro commentum si fa sostantivo e diventa l’invenzione, la finzione, la trovata. Ad esempio, un commento miraculi è l’invenzione di un miracolo (non il commento di un miracolo, come forse tradurremmo).
Passano i secoli, e si profilano nuovi contesti d’uso della lingua antica: quante volte è accaduto, al latino! In particolare quello ecclesiastico è stato un latino ricco di novità. Fra l’altro, Isidoro di Siviglia e altri autori cristiani prendono a usare commentum con un significato più vicino al nostro: l’invenzione trascolora in interpretazione, e quindi si fa annotazione.
Un trascolorare piuttosto eloquente: in maniera smaliziata squaderna il dato non trascurabile che il commento — nel modo in cui circostanzia, amplia, reinquadra e interpreta — è spesso la vera trovata, l’espediente che fonda il paradigma. Poco male se la materia originale su cui ricama finisce per essere un ‘la’ di secondo piano.
È il caso di notare che comunque in latino esisteva anche il verbo commentari, derivato più diretto di mens, ‘mente’, che ha il significato di ‘meditare, riflettere, scrivere, discutere’ e — per piacere dell’intorto — ‘commentare’. Il nostro ‘commentare’ deriva da questo commentari, ma non è il suo participio passato, commentatus, a dar vita a ‘commento’, che come dicevamo è da comminìsci. Insomma, due verbi differenti ma che appartengono a una schiatta comune, con comuni figure di radice e di prefisso, seguono due ordini di significato distinti, che però poi riconvergono, si rimpastano in un’unità — per cui ‘commentare’ e ‘commento’ paiono del tutto contigui.
Il nucleo del commento è il suo essere derivativo, il suo essere secondo, il suo seguire. Trovata e meditazione, riflessione ed invenzione, s’incardina su un precedente dato di realtà — un evento, un’immagine, un testo — e ne fornisce una critica, l’esegesi, un’interpretazione, un accompagnamento, una risposta.
Posso notare l’efficacia del commento musicale della scena comica, eseguito da un fagotto, seguire la pioggia di commenti sotto il post polemico, apprezzare il commento sagace pronunciato in replica a una dichiarazione, leggere con noia o stupore il commento alla poesia, compulsare i commenti al fatto di politica internazionale, perdermi nei commenti della nuova norma senza nemmeno leggerla. Poi certo, una diffidenza di fondo rispetto al giudizio si legge nel suo uso assoluto — che hai da commentare? la gente commenta sempre.
Come sempre, e com’è perfettamente naturale, usiamo con pratica spicciola parole che hanno preso forma tanto prima di noi, che hanno genesi e trascorsi sorprendenti, e sviluppi impervi, su cui di solito non ci interroghiamo.