Trascolorare

Parole d'autore

tra-sco-lo-rà-re

Significato Cambiare colore, detto in particolare di un volto; per estensione, passare gradualmente da uno stato a un altro

Etimologia verbo denominale derivato da colore, con l’aggiunta del prefisso trans- (evolutosi in tras-). Attestato per la prima volta nella Commedia dantesca.

Poche cose sono più volatili e insieme più rivelatrici d’una variazione di colore sul viso: a volte così lieve da passare quasi inosservata, può trasmettere mille sottintesi a uno sguardo accorto. Uno sguardo come quello di Virgilio, il quale non esita a rimproverare aspramente Dante ma, appena lo vede arrossire di vergogna, subito s’intenerisce e cambia tono (Inf XXXI, Pg V). Né gli sfugge quando le guance di Dante impallidiscono di paura, per esempio davanti alla città infernale di Dite; perciò la buona guida dissimula prontamente la propria preoccupazione, così da attenuare l’angoscia del suo protetto (Inf IX).

Non parliamo poi dei visi innamorati, che alle volte sono fin troppo eloquenti: «Noi leggevamo un giorno per diletto / di Lancillotto come amor lo strinse», racconta la lussuriosa Francesca, «per più fiate li occhi ci sospinse / quella lettura, e scolorocci il viso» (Inf V). Dunque il pallore dei volti la diceva già lunga su come sarebbe andata a finire la vicenda, nonostante la fanciulla protesti di non essersi accorta di nulla finché non è stato troppo tardi.

In breve rossori e pallori sono un motivo molto amato da Dante – come da tutta la lirica delle origini – tanto che potrebbe aver inventato un verbo ad hoc per descriverli. La parola è usata in un unico passo della Commedia, quando San Pietro, sul punto di lanciarsi in una filippica contro il papa del momento, preavverte Dante: «Se io mi trascoloro / non ti maravigliar, ché, dicend’io, / vedrai trascolorar tutti costoro.» (Par XXVII). Detto in altri termini: «Quel mascalzone mi fa salire il sangue alla testa, ma non te ne stupire, perché sono in buona compagnia». Infatti poco dopo tutti i santi, e il cielo stesso, avvampano di pia indignazione.

Questa peraltro non è l’unica occasione in cui il mutamento di un viso è sovrapposto a quello del cielo. Nel primo canto del Purgatorio per esempio l’alba è paragonata a una donna che arrossisce, mentre nel canto XVIII il passaggio dal rosso cielo di Marte all’argenteo cielo di Giove è descritto con l’immagine d’una bianca fanciulla che, dopo essere arrossita di vergogna, torna al suo usuale colorito.

In effetti tanto il cielo quanto il viso umano cambiano colore in modo sfumato, quasi impercettibile agli inizi, ma insieme sorprendentemente rapido e intenso. Non per nulla il nostro lessico slitta da un campo all’altro senza sforzo: un volto può rasserenarsi o incupirsi tanto quanto un imprevedibile cielo marzolino, mentre la volta celeste arrossisce al tramonto e si fa pallida (o persino livida) all’alba.

Cielo e viso sono dunque i soggetti per eccellenza del verbo trascolorare, ma non ne possiedono certo l’esclusiva. Anche la vegetazione per esempio può mutar colore in breve tempo, come nel caso delle foglie d’autunno o del «fieno che già patì la falce / e trascolora», nella Sera fiesolana di D’Annunzio.

Perfino un concetto astratto può trascolorare, sfumando in qualcosa di diverso o finanche di contrario; come la gioia che, sul volgere della sera, sorprende l’animo trascolorando in malinconia, o un’antica amicizia che quasi inavvertitamente trascolora in amore.

In ogni caso questo verbo racchiude tutto il fascino della transizione, catturata in quell’incantevole attimo sospeso tra il ‘non più’ e il ‘non ancora’.

Parola pubblicata il 19 Luglio 2021

Parole d'autore - con Lucia Masetti

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