Emporio

em-pò-rio

Significato Negozio che vende prodotti d’ogni genere; centro di raccolta e smercio di una regione o di un certo prodotto

Etimologia voce dotta recuperata dal latino emporium, dal greco empórion ‘mercato’, derivato di émporos ‘mercante’, ma propriamente ‘viaggiatore’, da póros ‘passaggio, viaggio’.

È un nome affascinante, suggestivo. Da un lato è frizzante, e tratteggia un centro di commercio alla mano, senza alte pretese; dall’altro, be’, è greco quanto la feta con le olive.

Noi di empori ne troviamo sulle marine vicino alla spiaggia — in vendita braccioli e giornali, bibite e ciabatte — o magari nei piccoli paesi, dove l’alimentari ha detergenti e padelle, libri e giocattoli, pale e attrezzi: in realtà più complesse ogni punto di vendita tende a una maggiore specializzazione. E in effetti forse questo è il carattere eterno dell’emporio: il suo essere punto di commercio al margine.

Il nome è greco perché l’emporio fu un genere d’insediamento commerciale tipico della sparpagliata espansione greca nel Mediterraneo. L’empórion era il ‘mercato’, un derivato di émporos ‘mercante’, ma propriamente ‘viaggiatore’ — da póros ‘passaggio’. Nella cultura greca i mercanti erano figure al limite della società, troppo poco calati nella statica locale del diritto. E gli empori non erano certo colonie, coi loro sofisticati rapporti con le metropoli — in questo caso noi rendiamo con ‘colonia’ il termine greco apoikía, letteralmente ‘lontano da casa’, mentre ‘metropoli’ qui non ha il senso moderno di ‘grande città’, ma quello originale di metrópolis, ‘città madre, madrepatria’.
Si trattava di insediamenti sul mare, non di rado temporanei, di raccolta e smercio, con possibilità di scaricare, depositare, vendere, acquistare e caricare merci.

Il nome è diventato e rimasto paradigmatico: ogni porto, ogni città di mare, ogni scalo, ogni luogo di deposito e scambio, ogni centro commerciale è emporio — domestico ed esotico, fervente e caotico. In tempi più vicini a noi, dove gli affari non si fanno più tanto lì per lì, negli scali, e ogni container sa già dove andare, l’emporio è rimasto il negozio che in minore rende quei primi empori sul mare: grandi magazzini e centri commerciali in cui si trova di tutto, prima, e poi negozi di dimensioni più ordinarie in cui si trova un po’ di tutto, un po’ alla buona. Anche se non sono mancati empori figurati — circoli che sono stati considerati vivaci empori culturali, città che sono empori di retaggi dei più diversi. Ma sono usi decisamente rétro.

Oggi l’emporio resta il negozio generalista, che in particolare serve un luogo con ciò che in quel luogo di solito serve; non ci sentiamo dentro l’eco antica, carismatica, quella del porticciolo improvvisato per cogliere al volo la possibilità di organizzare e compiere ricchi scambi, fra gente che scende da navi dallo scafo rotondo parlando lingue d’ogni angolo del mare.
Ciò nondimeno la scintilla della sorpresa, l’emporio, non l’ha perduta, e continua ad essere un nome, oltre che un luogo, che è fonte inesausta di curiosità.

Parola pubblicata il 10 Ottobre 2025