Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo epicoenus, prestito dal greco epíkoinon ‘di genere comune’, propriamente ‘in comune’, derivato di koinós ‘comune’ con prefisso epí- ‘su’ in senso rafforzativo.
Spesso la grammatica ci sembra una branca secca della lingua; di certo è da sempre un affare complesso (pensiamo a come etimologicamente ne derivi perfino la malìa incantata del glamour), ma certe escursioni in questo campo possono darci qualche idea in più su come pensiamo e su come evolvano le nostre parole.
‘Epiceno’ è un termine che vive essenzialmente e fin dal principio in ambito grammaticale, ma non affrettiamoci: è una parola di ascendenza greca abbastanza evidente, infatti il latino tardo epicoenus è dal greco epíkoinos col significato ‘di genere comune’, anche se propriamente sarebbe un più generico ‘in comune’, derivato di koinós ‘comune’ col prefisso epi- che significa ‘su’, ma che qui assolve a una funzione rafforzativa.
Nella nostra grammatica è giusto un aggettivo che si riferisce al genere di un nome: i nomi epiceni (anche noti come di ‘genere promiscuo’) sono quelli che in particolare hanno un’unica forma, maschile o femminile, per identificare in ogni caso l’animale, maschio o femmina che sia. La tigre, la volpe, il topo, come anche la balena, l’aquila, la farfalla, la giraffa, l’orca, l’usignolo, la zebra, la pantera e via dicendo. Sono casi in cui, se vogliamo fare una specificazione riguardo a l’essere maschio o femmina dell’animale in questione, di volta in volta dobbiamo usare proprio questi determinatori in maniera esplicita — e parleremo di balena maschio o balena femmina, maschio della volpe o femmina della volpe e via dicendo.
Ma è un fatto arbitrario della lingua? Che cos’hanno tendenzialmente in comune queste graziose bestie?
Il fatto d’essere selvatiche. Se un animale è domestico, solitamente il suo nome avrà un normale genere mobile (il gatto, la gatta) o addirittura avranno nomi indipendenti, di genere fisso (il toro, la vacca). Questo risponde a una diversa familiarità con l’animale considerato, che vivendo con noi si caratterizza in maniera più immediata anche dal punto di vista del genere (è più simile a noi), senza contare che riguardo agli animali d’allevamento entrano in gioco perfino diversità di funzioni e di rilievi economici.
Gli animali selvatici, invece, spesso conservano una primigenia inaccessibilità: stentiamo a riconoscerne poche decine di specie, figuriamoci riuscire a distinguerne maschi e femmine, e l’epiceno ci rappresenta questa sfocatura, che è anche una distanza e perfino una mancanza d’interesse. Ma a parte questo nucleo di primo rilievo, l’epiceno si manifesta anche altrove.
Infatti si considerano epiceni anche quei sostantivi che hanno questo comportamento fuori dal mondo selvatico, e che anzi magari ci riguardano in prima persona: ad esempio proprio la persona, la sentinella, la guardia, la vedetta, la vittima, il soggetto, il personaggio sono nomi epiceni. Questi però hanno questa natura per ragioni etimologiche e storiche contingenti che li hanno fatti assestare su un singolo genere, senza che fossero necessarie ulteriori specificazioni per astrazione del concetto o per invariabilità del ruolo: cogliendo qualche caso, ‘guardia’ parte dal gotico wardja, ‘sentinella’ da un diminutivo dell’antico sentina nel senso di ‘accortezza’, il soggetto ha una pletora di significati di dimensione teorica, la persona è dall'etrusco phersu ‘maschera’ e trova parte del suo successo proprio nella sua indeterminazione (figuriamoci, esistono anche persone giuridiche).
Insomma, è un termine tecnico, che talvolta si fa spazio col suo mescolamento comune di genere in senso un po’ più ampio — e potremmo quindi parlare di come cerchiamo una formulazione epicena che dia una rappresentazione più ampia di un mestiere a prescindere dal genere di chi lo svolge, o di un nome proprio epiceno, come Andrea.
Invece attenzione: più precisamente non sono epiceni, bensì di ‘genere comune’, quei sostantivi che non variano fra maschile e femminile, la cui specificazione di genere però si segnala tramite l’articolo: il dentista e la dentista, il giornalista e la giornalista, mentre la tigre è sempre la tigre.
E sì, il fatto che ‘epiceno’ voglia dire ‘di genere comune’ e che sia una nozione diversa rispetto a ‘di genere comune’ è un dato emblematico delle difficoltà della grammatica.
Spesso la grammatica ci sembra una branca secca della lingua; di certo è da sempre un affare complesso (pensiamo a come etimologicamente ne derivi perfino la malìa incantata del glamour), ma certe escursioni in questo campo possono darci qualche idea in più su come pensiamo e su come evolvano le nostre parole.
‘Epiceno’ è un termine che vive essenzialmente e fin dal principio in ambito grammaticale, ma non affrettiamoci: è una parola di ascendenza greca abbastanza evidente, infatti il latino tardo epicoenus è dal greco epíkoinos col significato ‘di genere comune’, anche se propriamente sarebbe un più generico ‘in comune’, derivato di koinós ‘comune’ col prefisso epi- che significa ‘su’, ma che qui assolve a una funzione rafforzativa.
Nella nostra grammatica è giusto un aggettivo che si riferisce al genere di un nome: i nomi epiceni (anche noti come di ‘genere promiscuo’) sono quelli che in particolare hanno un’unica forma, maschile o femminile, per identificare in ogni caso l’animale, maschio o femmina che sia. La tigre, la volpe, il topo, come anche la balena, l’aquila, la farfalla, la giraffa, l’orca, l’usignolo, la zebra, la pantera e via dicendo. Sono casi in cui, se vogliamo fare una specificazione riguardo a l’essere maschio o femmina dell’animale in questione, di volta in volta dobbiamo usare proprio questi determinatori in maniera esplicita — e parleremo di balena maschio o balena femmina, maschio della volpe o femmina della volpe e via dicendo.
Ma è un fatto arbitrario della lingua? Che cos’hanno tendenzialmente in comune queste graziose bestie?
Il fatto d’essere selvatiche. Se un animale è domestico, solitamente il suo nome avrà un normale genere mobile (il gatto, la gatta) o addirittura avranno nomi indipendenti, di genere fisso (il toro, la vacca). Questo risponde a una diversa familiarità con l’animale considerato, che vivendo con noi si caratterizza in maniera più immediata anche dal punto di vista del genere (è più simile a noi), senza contare che riguardo agli animali d’allevamento entrano in gioco perfino diversità di funzioni e di rilievi economici.
Gli animali selvatici, invece, spesso conservano una primigenia inaccessibilità: stentiamo a riconoscerne poche decine di specie, figuriamoci riuscire a distinguerne maschi e femmine, e l’epiceno ci rappresenta questa sfocatura, che è anche una distanza e perfino una mancanza d’interesse. Ma a parte questo nucleo di primo rilievo, l’epiceno si manifesta anche altrove.
Infatti si considerano epiceni anche quei sostantivi che hanno questo comportamento fuori dal mondo selvatico, e che anzi magari ci riguardano in prima persona: ad esempio proprio la persona, la sentinella, la guardia, la vedetta, la vittima, il soggetto, il personaggio sono nomi epiceni. Questi però hanno questa natura per ragioni etimologiche e storiche contingenti che li hanno fatti assestare su un singolo genere, senza che fossero necessarie ulteriori specificazioni per astrazione del concetto o per invariabilità del ruolo: cogliendo qualche caso, ‘guardia’ parte dal gotico wardja, ‘sentinella’ da un diminutivo dell’antico sentina nel senso di ‘accortezza’, il soggetto ha una pletora di significati di dimensione teorica, la persona è dall'etrusco phersu ‘maschera’ e trova parte del suo successo proprio nella sua indeterminazione (figuriamoci, esistono anche persone giuridiche).
Insomma, è un termine tecnico, che talvolta si fa spazio col suo mescolamento comune di genere in senso un po’ più ampio — e potremmo quindi parlare di come cerchiamo una formulazione epicena che dia una rappresentazione più ampia di un mestiere a prescindere dal genere di chi lo svolge, o di un nome proprio epiceno, come Andrea.
Invece attenzione: più precisamente non sono epiceni, bensì di ‘genere comune’, quei sostantivi che non variano fra maschile e femminile, la cui specificazione di genere però si segnala tramite l’articolo: il dentista e la dentista, il giornalista e la giornalista, mentre la tigre è sempre la tigre.
E sì, il fatto che ‘epiceno’ voglia dire ‘di genere comune’ e che sia una nozione diversa rispetto a ‘di genere comune’ è un dato emblematico delle difficoltà della grammatica.