Eterogeneo

e-te-ro-gè-ne-o

Significato Di natura e caratteristiche diverse; differente, disparato; in grammatica, di sostantivo che al plurale può avere genere diverso rispetto al singolare

Etimologia conio dal greco heterogenés, composto di héteros ‘altro’ e della radice di génos ‘specie’: ‘di altra specie’.

Curioso (o forse conseguente) come ‘eterogeneo’ sia un attributo più eterogeneo rispetto al suo contrario ‘omogeneo’. E forse questo contribuisce a dargli altezza — sembra più sofisticato un ragionamento sull’eterogeneità, piuttosto che sull’omogeneità. Ma partire dall’omogeneo ci aiuta subito a capire come è che l’eterogeneo si muove.

Ambedue mettono il concetto su un piano interessante e profondo, quello della specie, del genere delle cose e delle persone. Ci parlano di nature, che possono essere uguali o diverse.
L’omogeneo ci fa subito venire in mente la consistenza, il tessuto di un impasto amalgamato in modo uniforme, senza pezzi distinti, senza differenziazioni al proprio interno. In ogni punto, è la stessa roba: l’omogeneo condivide un medesimo stato, medesimi caratteri, una medesima natura.

L’eterogeneo per contro si staglia con caratteristiche differenti. Una classe eterogenea ha studenti con età varie, invece l’amministrazione locale si trova a confrontarsi con interessi eterogenei e confliggenti; un elemento eterogeneo nella squadra riesce a fornire un approccio diverso, mentre nel magazzino rinveniamo merci eterogenee difficili da catalogare.

La diversità può essere significata spazialmente: pensiamo al diverso stesso, al differente, al disparato. Può essere comunicata come una marezzatura, un essere articolato e inuguale: pensiamo al vario, al molteplice, al composito. Può essere trasmessa come un’alterità di forma o d’intento: pensiamo al dissimile, al difforme, al discorde.

L’eterogeneo si pone idealmente più in altro di questa banda di sinonimi. Per quanto reinventato nel Cinquecento, ha un pedigree di grecismo molto evidente, che sulla plebaglia spicca. Ma non spicca solo per questa autorevolezza formale. Si concentra, come dicevamo, su una natura. Non impiega le brusche concettualizzazioni del dis-, che spariglia e allontana riconoscendo divergenze e difformità — come peraltro farebbe anche col disomogeneo, che non valorizza la varianza dell’altro, ma s’impunta sulla mancanza di omogeneità. Nemmeno, sfoca sulla variegatura di un gruppo. Quasi rileva una ricchezza di nomenclatura, la levità di qualcosa o qualcuno che è altro. È un termine distinto, aristocratico.

Notato questo quadro generale, che ci fa intendere la squisitezza dell’eterogeneo, è interessante notare il suo esito specialistico in grammatica.
Si dice eterogeneo quel sostantivo che al plurale può avere un genere diverso da quello che ha al singolare. Se al singolare abbiamo solo il braccio, al plurale abbiamo sia il maschile ‘i bracci’ (quando sono considerati singolarmente e non a gruppi appaiati, come parlando dei bracci destri, o quando sono inanimati, come quando parliamo dei bracci della bilancia) sia il femminile ‘le braccia’, che invece sono le nostre due, o la molteplicità indistinta di appendici che lavorano, come quando ci comodano delle braccia in più per il trasloco.
Di genere diverso, in maniera piuttosto letterale.

(E l’eterogenesi? Il discorso è simile, ma… eterogeneo.)

Parola pubblicata il 11 Novembre 2025