SignificatoStato di ottimismo esaltato, allegro, vigoroso
Etimologia dal greco tardo euphoría ‘senso di benessere’, propriamente ‘fertilità, abbondanza’, derivato di eúphoros ‘fertile’, composto da eu- ‘bene’ e phéro ‘portare’.
Ci capita di parlare del pessimismo della lingua. E ci capita di parlare di come la mole di parole che raccontano qualcosa di negativo (e quindi lo descrivono e ci mettono in guardia), sia non solo enormemente superiore a quella delle parole liete, ma sia anche composta da falangi di termini molto più precisi e a fuoco. Oggi abbiamo la possibilità di osservare qualcosa di simile ma anche profondamente diverso.
‘Euforia’ è un termine estremo. C’è invulnerabilità, nell’euforia. Un’esuberanza che spesso e volentieri riconduciamo a disturbi psichici e uso di stupefacenti. Se proviamo un senso di euforia, non siamo solo vivaci: il nostro fervore è travolgente, tutto il bello e il buono è colto con immediatezza, tutto è letto e volto in senso ottimista. È qualcosa di non troppo distante dall’entusiasmo: e questo però è un termine che per sostenere la positività del proprio significato richiama un’impalcatura tradizionale non meno che sacerdotale. L’euforia come fa?
È un termine della medicina, del greco tardo di questa disciplina. Questa è una lingua che ha echeggiato da mare a mare, che è stata alla base della disciplina per una cascata di secoli (se non lo è ancora). Ora, l’euphoría nasce con un significato proprio estremamente lineare. Il prefissoideeu-, come forse sappiamo, ci parla di ‘bene’, e si aggancia a un verbo phéro che significa ‘portare’. C’è una splendida ingenuità poetica nel dire che il ‘portare bene’ è un carattere di fertilità, abbondanza. Ma questo greco normalizza l’euphoría, piallando il riferimento diretto a fertilità e abbondanza, reinterpretando il ferace come senso di benessere.
Riprendiamo il filo del principio: possiamo accettare così com’è un termine che indica un compassato, naturale senso di benessere? Oppure questa minima concessione concettuale a uno stato non negativo, questa impercettibile sterzata greca ci intraverserà direttamente verso un’eccitazione esaltata?
Quando ragioniamo di termini negativi calibriamo le parole come strumenti d’orologeria. Quando ragioniamo di termini positivi li guidiamo come uno slittino la prima volta che ci lanciamo giù dal pendio. E tanta è la nostra paura, nell’adrenalina del loro uso, che possiamo buttarli fuori pista — se parliamo di stati mentali possiamo bollarli come innaturali, artificiali (lo stesso entusiasmo è una possessione superiore, inumana). Anche perché, ricordiamolo sempre, gli stati mentali seri sono propri della gente seria — e certo l’euforia non è seria, è da gente poco rispettabile, non di rado pazza e drogata.
Ora, l’euforia viene recuperata direttamente dal greco nella prima metà dell’Ottocento, ma è verso la fine del secolo che inizia ad essere usata in maniera sistematica, e col significato attuale.
Cerchiamo di afferrarlo: l’ottimismo esaltato dell’euforia non è slanciato e progettuale come l’entusiasmo. È più centrato — e in questa centratura troviamo l’equilibrio del benessere etimologico, che ha anche una dimensione spirituale. Certo, nell’euforia si considera che tutto si muova per il meglio, che ciò che speriamo si realizzerà, ci muove un vigore impareggiabile.
Alfredo Panzini (un autore che di parole si è interessato molto, estendendo anche dei dizionari) un centinaio di anni fa scriveva che «L’euforia è come il vento che gonfia le vele alla nave»: ancora non si usava da molto, questa parola, ma questa figura riesce a coglierne la solidità, il modo in cui l’euforia tiri a fare, a creare, a muovere, a prendere. L’impressione di un’energia esterna e sovrumana. E anche il carattere effimero, certo, che ha una compatibilità con la transitorietà narcotica dell’euforia — tanto che anche qualche bicchiere può rendere qualcuno euforico.
Posso parlare dell’euforia dopo lo scampato pericolo, dell’euforia che regna per le strade durante la festa di paese o durante la partita quasi vinta; posso parlare dell’euforia che la persona che parla dal palco riesce ad accendere in chi ascolta, dell’euforia che provo prima della festa, o all’idea di rivedere qualcuno.
Parola, possibilità meravigliosa. Anche se non sempre è un’osservazione che ci convince, gli stati d’animo positivi sono roba umana.
Ci capita di parlare del pessimismo della lingua. E ci capita di parlare di come la mole di parole che raccontano qualcosa di negativo (e quindi lo descrivono e ci mettono in guardia), sia non solo enormemente superiore a quella delle parole liete, ma sia anche composta da falangi di termini molto più precisi e a fuoco. Oggi abbiamo la possibilità di osservare qualcosa di simile ma anche profondamente diverso.
‘Euforia’ è un termine estremo. C’è invulnerabilità, nell’euforia. Un’esuberanza che spesso e volentieri riconduciamo a disturbi psichici e uso di stupefacenti. Se proviamo un senso di euforia, non siamo solo vivaci: il nostro fervore è travolgente, tutto il bello e il buono è colto con immediatezza, tutto è letto e volto in senso ottimista. È qualcosa di non troppo distante dall’entusiasmo: e questo però è un termine che per sostenere la positività del proprio significato richiama un’impalcatura tradizionale non meno che sacerdotale. L’euforia come fa?
È un termine della medicina, del greco tardo di questa disciplina. Questa è una lingua che ha echeggiato da mare a mare, che è stata alla base della disciplina per una cascata di secoli (se non lo è ancora). Ora, l’euphoría nasce con un significato proprio estremamente lineare. Il prefissoide eu-, come forse sappiamo, ci parla di ‘bene’, e si aggancia a un verbo phéro che significa ‘portare’. C’è una splendida ingenuità poetica nel dire che il ‘portare bene’ è un carattere di fertilità, abbondanza. Ma questo greco normalizza l’euphoría, piallando il riferimento diretto a fertilità e abbondanza, reinterpretando il ferace come senso di benessere.
Riprendiamo il filo del principio: possiamo accettare così com’è un termine che indica un compassato, naturale senso di benessere? Oppure questa minima concessione concettuale a uno stato non negativo, questa impercettibile sterzata greca ci intraverserà direttamente verso un’eccitazione esaltata?
Quando ragioniamo di termini negativi calibriamo le parole come strumenti d’orologeria. Quando ragioniamo di termini positivi li guidiamo come uno slittino la prima volta che ci lanciamo giù dal pendio. E tanta è la nostra paura, nell’adrenalina del loro uso, che possiamo buttarli fuori pista — se parliamo di stati mentali possiamo bollarli come innaturali, artificiali (lo stesso entusiasmo è una possessione superiore, inumana). Anche perché, ricordiamolo sempre, gli stati mentali seri sono propri della gente seria — e certo l’euforia non è seria, è da gente poco rispettabile, non di rado pazza e drogata.
Ora, l’euforia viene recuperata direttamente dal greco nella prima metà dell’Ottocento, ma è verso la fine del secolo che inizia ad essere usata in maniera sistematica, e col significato attuale.
Cerchiamo di afferrarlo: l’ottimismo esaltato dell’euforia non è slanciato e progettuale come l’entusiasmo. È più centrato — e in questa centratura troviamo l’equilibrio del benessere etimologico, che ha anche una dimensione spirituale. Certo, nell’euforia si considera che tutto si muova per il meglio, che ciò che speriamo si realizzerà, ci muove un vigore impareggiabile.
Alfredo Panzini (un autore che di parole si è interessato molto, estendendo anche dei dizionari) un centinaio di anni fa scriveva che «L’euforia è come il vento che gonfia le vele alla nave»: ancora non si usava da molto, questa parola, ma questa figura riesce a coglierne la solidità, il modo in cui l’euforia tiri a fare, a creare, a muovere, a prendere. L’impressione di un’energia esterna e sovrumana. E anche il carattere effimero, certo, che ha una compatibilità con la transitorietà narcotica dell’euforia — tanto che anche qualche bicchiere può rendere qualcuno euforico.
Posso parlare dell’euforia dopo lo scampato pericolo, dell’euforia che regna per le strade durante la festa di paese o durante la partita quasi vinta; posso parlare dell’euforia che la persona che parla dal palco riesce ad accendere in chi ascolta, dell’euforia che provo prima della festa, o all’idea di rivedere qualcuno.
Parola, possibilità meravigliosa. Anche se non sempre è un’osservazione che ci convince, gli stati d’animo positivi sono roba umana.