Famoso

fa-mó-so

Significato Rinomato, celebre, memorabile, atteso, di cui si parla

Etimologia voce dotta recuperata dal latino famosus, derivato di fama letteralmente ‘diceria’, a sua volta da fari ‘parlare’.

A volte, le lingue sembrano divertirsi ad assecondare i sogni inconfessabili della peggiore cialtroneria alunnesca. Prendiamo il tedesco: come si dice ‘scherzo’? Scherz. E ‘intelligente’? Intelligent. E ‘famoso’? Famos. Ma neppure i sogni sono sempre perfetti, e infatti famos non significa ‘famoso’, bensì ‘eccellente’, ‘magnifico’. Ci sarà mica lo zampino dei goliardi tedeschi? Ebbene sì: gli stessi buontemponi artefici del mutamento di fidel da ‘fedele’ ad ‘allegro’. Fino ai primi decenni dell’Ottocento, in effetti, famos voleva proprio dire ‘famoso’. Non da molto, però: un secolo prima, significava ‘famigerato’ o ‘infamante’. Neanche a dirlo, il viaggio comincia ben più addietro.

In latino, fama e famosus erano voces mediae, cioè neutre, di significato né positivo né negativo, com’è ovvio se si considera che fama viene dalla stessa radice di fari, parlare: la fama è dunque semplicemente ‘ciò che si dice’, la voce pubblica, l’opinione comune. Ma la diceria, si sa, è eccitata assai più volentieri dal male che dal bene, perciò non stupisce che Virgilio, nell’Eneide, descriva Fama come una “sozza dea”, un “mostro orribile e grande, d’ali presta e veloce de’ piè”, che “vola di notte per l’oscure tenebre de la terra e del ciel senza riposo, stridendo sempre, e non chiude occhi mai”.

Anche in italiano ‘famoso’ è vox media, potendosi, a rigore, riferire tanto ad un santo o ad un artista quanto ad un criminale. Tuttavia, oggi ha tendenzialmente un senso positivo, anche perché esiste un suo gemello cattivo che ha attratto su di sé tutta la negatività: famigerato. In realtà, non ci sono ragioni oggettive per cui ‘famigerato’ dovesse subire questo triste destino: rispetto a famosus, era semplicemente costruito in maniera diversa, con l’aggiunta a fama di gèrere, portare; il famigeratus, quindi, era chi (o ciò) a cui era stata portata fama, che era stato reso famoso. In italiano è solo alla metà dell’Ottocento che ‘famigerato’ smise di essere sinonimo di ‘famoso’, assumendo il significato di ‘malfamato’ – laddove infame possiede una carica ben maggiore di spregevolezza morale: un bandito potrà essere famoso e malfamato, ma infame solo quando abbia compiuto atti particolarmente turpi ed esecrabili.

Ma rifacciamo un passo indietro. Prima dell’esistenza di Twitter, quando si voleva diffamare qualcuno si scriveva un libellus famosus – cioè un libretto diffamatorio, infamante – e lo si faceva trovare in un luogo pubblico. L’espressione entrò tanto nel linguaggio giuridico italiano (libello famoso) quanto in quello tedesco (famos Libell), perciò inizialmente il significato di famos non poté che essere quello: infamante, infamato. Nel Settecento, poi, fu per l’influsso del francese fameux che la parola tedesca prese il senso sostanzialmente positivo di ‘famoso’. A quel punto, per gli studenti teutonici fu un gioco da ragazzi risemantizzarla, dotarla di un significato nuovo, attribuendole quello di ‘eccellente’, ‘formidabile’.

Certo, a livello puramente logico il passaggio appare temerario – non è detto che la fama sia garanzia di qualità – ma nel mondo è così che funziona: la pubblicità commerciale è tutta fondata sul meccanismo psicologico per cui quanto è conosciuto ai più ci appare migliore di ciò che è ignoto – oscuro, appunto: non illustre. Non a caso, i consiglieri politici sanno bene che qualunque fama, anche cattiva, porta voti. Insomma, per Virgilio sarà stato pure un mostro, Fama, ma è anche un mostro di bravura nell’allestire carriere ai tanti ambiziosi che popolano questo mondo.

Parola pubblicata il 07 Luglio 2020

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