Firma
fìr-ma
Significato Nome e cognome proprio che qualcuno appone alla fine di un testo per approvarlo o dichiararlo suo; autore; segno distintivo
Etimologia da firmare, voce dotta recuperata dal latino, propriamente ‘confermare, rendere saldo’, da firmus ‘fermo, stabile, saldo’.
Parola pubblicata il 19 Gennaio 2021
La strana coppia - con Salvatore Congiu
Parole sorelle, che dalla stessa origine fioriscono in lingue diverse, possono prendere le pieghe di significato più impensate. Con Salvatore Congiu, insegnante e poliglotta, un martedì su due vedremo una di queste strane coppie, in cui la parola italiana si confronterà con la sorella inglese, francese, spagnola o tedesca.
Corre l’anno 1877. Nel Lessico della corrotta italianità, Pietro Fanfani e Costantino Arlìa danno la loro benedizione a una coppia di parole che, «anche a porre il caso che avessero ragione coloro, i quali trovano il baco [in esse], sarebbe opera vana, e forse ridicola, il pretendere cacciarla dall’uso». I vocaboli ritenuti da certuni “bacati” erano firma e firmare. Possibile? Certamente: tant’è che in nessuna edizione del Vocabolario della Crusca, fino all’Ottocento, se ne trova traccia. E con quali parole, allora, si indicava in precedenza quest’atto così banale e quotidiano?
Anzitutto in passato, per le persone comuni, firmare era una cosa affatto inabituale, e comunque preclusa alla stragrande maggioranza della popolazione, rimasta analfabeta per secoli; di contro, coloro per cui era essenziale autenticare uno scritto usavano mezzi alternativi alla firma autografa, soprattutto sigilli e simboli grafici vari, come il signum tabellionis dei notai (ne vediamo un esempio in basso a sinistra, dalla Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza), oppure il monogramma. Eccone, in basso a destra, uno degli esempi più noti, quello di Carlo Magno, che notoriamente sapeva leggere ma non scrivere.
Nell’antica Roma, non solo l’imperatore e le persone altolocate ma anche quelle comuni, specialmente in campo commerciale, usavano anelli-sigillo come firma. Apporre questo segno come garanzia di autenticità era detto signare, cioè segnare, mettere un signum, imprimere un sigillo (sigillum è diminutivo di signum), da cui anche il francese signer e l’inglese sign, firmare. Apporre effettivamente il proprio nome in fondo ad uno scritto, invece – spesso, si capisce, un atto di accusa nei confronti di qualcuno –, era subscribere, da cui i nostri sottoscrivere e sottoscrizione (eccole qui le forme “regolari” prima dei bacati firmare e firma), nonché i loro analoghi in tedesco, unterschreiben, e in inglese, subscribe.
E la nostra firma, allora, da dove salta fuori? Da firmus, naturalmente, cioè “fermo, stabile, saldo”, e firmare era appunto rendere saldo, assicurare, e quindi anche confermare, garantire: a questo serve la firma. Ma come mai spunta all’improvviso, ricalcata sul latino, tra Cinque e Seicento, quando esisteva già una parola per indicare la cosa? Chissà. Forse perché sottoscrizione era lungo e scomodo da pronunciare. Fatto sta che, ben presto, l’abbiamo esportata in mezza Europa: Germania, Francia, Inghilterra… Un momento. Ma lì non hanno seguito i modelli latini signare e subscribere? Già, e infatti il tedesco Firma, il francese firme e l’inglese firm non significano “firma” bensì “ditta, impresa”. Pare un volo semantico arditissimo, ma non lo è. Inizialmente, in tedesco – e analogamente in francese e inglese, nonché in spagnolo, dove firma ha entrambi i significati – Firma era la firma di un mercante o imprenditore, poi passò a definire il nome commerciale della sua impresa, e infine la ditta stessa.
Un normale spostamento dai nomi alle cose, insomma, peraltro non limitato all’ambito commerciale o giuridico. Non a caso, nel giornalismo e in altri settori una persona è chiamata metonimicamente “firma”, e così avviene nella moda e nel design, dove la firma su un oggetto o un capo è anzitutto la “faccia”, l’impronta del suo creatore. La nostra firma parla di noi e ci rappresenta, perciò le diamo tanta importanza. Inviando, nel 1927, una sua foto ad un’amica, Albert Einstein scrisse, riferendosi ai tanti che gli chiedevano un autografo: «Sono io pazzo o sono loro sciocchi?» «Nessuna delle due, professore. O entrambe» avrebbe risposto il suo quasi coetaneo Pirandello.