Etimologia voce dotta recuperata dal latino geminare, da geminus ‘gemello’, da una radice protoindoeuropea ricostruita come yem- col significato di ‘appaiato’.
Non è una parola che capiti spesso di usare — anzi probabilmente non la usiamo proprio mai. Ma è il suo riferimento al gemello è tutto accessibile, e colma una lacuna rilevante.
Se ci facciamo caso, i verbi che usiamo in quest’ambito di significato (quello in cui qualcosa raddoppia, si ripete) sono tremendamente ordinari. Il raddoppiare sa di puntata, di scommessa, di sanzione; il duplicare sa di documento, di certificato, di contraffazione; il ripetere sa di roba ridetta, rifatta, ridetta. Osservazioni del mondo basilari.
Il geminare si appunta su questi concetti con altro spirito. Non è un verbo buono tanto per grandi quantità che vengono moltiplicate, quanto per oggetti, enti presi singolarmente che si sdoppiano, che si aggiungono, che si appaiano.
Posso parlare di come, durante la passeggiata nel bosco, i bastoni che i bambini si sono portati dietro geminino continuamente; l’errore fatto a monte gemina in tutte le prosecuzioni del lavoro; ci sediamo nel punto panoramico in cui il canale gemina; e l’amico tende a geminare consonanti con la prosodia caratteristica di dov’è cresciuto. (Si sente, non è difficile da usare — potremmo sostituirlo pianamente con un sinonimo più semplice.)
Sembra quasi che il geminare colga la duplicazione ma senza misurazione. In effetti, più che una duplicazione, coglie un appaiamento — che è il nucleo di osservazione originario del ‘gemello’ stesso, figura dell’orizzonte protoindoeuropeo di cui siamo in grado di ricostruire la rilevanza, e che si distingue (nella radice ipotizzata come yem-) proprio come ‘appaiato’ nella nascita.
Ma permettiamoci qualche sottigliezza in più.
È un raddoppio sì, ma che differenzia. Non si moltiplicano quantità, masse fungibili — raddoppio di cifre e sforzi: la ripetizione genera una situazione, un’ipseità diversa, che richiama, ripete, e diverge.
I bastoni geminati sono sempre più variegati e si perdono via via; l’errore si manifesta e rimanifesta, identico e nuovo; le stesse acque, nel momento in cui si biforcano, prendono nomi diversi (peraltro interessante il confronto con il biforcare, che finisce per essere davvero prossimo al geminare, anche se stringe il campo dell’inquadratura sul bivio, meno sugli enti), le consonanti allungate producono quella che pare un’altra parola.
Date tutte le splendide uniche virtù di questo termine, l’unica premura è sperimentarlo senza timore di sbagliare. Certo è una parola che in letteratura è stata bene usata, che ha una sua consuetudine; ma il fatto che non sia una parola battuta comunemente ci dà un simpatico vantaggio: è difficile sbagliare il sentiero dando di roncola, se sono poche le persone che sanno riconoscere dove fosse, se il sentiero è mangiato da acacie e rovi.
Non è una parola che capiti spesso di usare — anzi probabilmente non la usiamo proprio mai. Ma è il suo riferimento al gemello è tutto accessibile, e colma una lacuna rilevante.
Se ci facciamo caso, i verbi che usiamo in quest’ambito di significato (quello in cui qualcosa raddoppia, si ripete) sono tremendamente ordinari. Il raddoppiare sa di puntata, di scommessa, di sanzione; il duplicare sa di documento, di certificato, di contraffazione; il ripetere sa di roba ridetta, rifatta, ridetta. Osservazioni del mondo basilari.
Il geminare si appunta su questi concetti con altro spirito. Non è un verbo buono tanto per grandi quantità che vengono moltiplicate, quanto per oggetti, enti presi singolarmente che si sdoppiano, che si aggiungono, che si appaiano.
Posso parlare di come, durante la passeggiata nel bosco, i bastoni che i bambini si sono portati dietro geminino continuamente; l’errore fatto a monte gemina in tutte le prosecuzioni del lavoro; ci sediamo nel punto panoramico in cui il canale gemina; e l’amico tende a geminare consonanti con la prosodia caratteristica di dov’è cresciuto. (Si sente, non è difficile da usare — potremmo sostituirlo pianamente con un sinonimo più semplice.)
Sembra quasi che il geminare colga la duplicazione ma senza misurazione. In effetti, più che una duplicazione, coglie un appaiamento — che è il nucleo di osservazione originario del ‘gemello’ stesso, figura dell’orizzonte protoindoeuropeo di cui siamo in grado di ricostruire la rilevanza, e che si distingue (nella radice ipotizzata come yem-) proprio come ‘appaiato’ nella nascita.
Ma permettiamoci qualche sottigliezza in più.
È un raddoppio sì, ma che differenzia. Non si moltiplicano quantità, masse fungibili — raddoppio di cifre e sforzi: la ripetizione genera una situazione, un’ipseità diversa, che richiama, ripete, e diverge.
I bastoni geminati sono sempre più variegati e si perdono via via; l’errore si manifesta e rimanifesta, identico e nuovo; le stesse acque, nel momento in cui si biforcano, prendono nomi diversi (peraltro interessante il confronto con il biforcare, che finisce per essere davvero prossimo al geminare, anche se stringe il campo dell’inquadratura sul bivio, meno sugli enti), le consonanti allungate producono quella che pare un’altra parola.
Date tutte le splendide uniche virtù di questo termine, l’unica premura è sperimentarlo senza timore di sbagliare. Certo è una parola che in letteratura è stata bene usata, che ha una sua consuetudine; ma il fatto che non sia una parola battuta comunemente ci dà un simpatico vantaggio: è difficile sbagliare il sentiero dando di roncola, se sono poche le persone che sanno riconoscere dove fosse, se il sentiero è mangiato da acacie e rovi.