Gravità

gra-vi-tà

Significato Caratteristica di ciò che è grave, doloroso, preoccupante; importanza di una situazione; autorevolezza di una persona; causa per cui gli oggetti pesanti tendono a cadere

Etimologia voce dotta recuperata dal latino gravitas ‘peso, importanza, autorità’, derivato di gravis ‘pesante, serio’.

Anche se il significato tecnico che ha acquistato in fisica è diventato sempre più centrale, il concetto di ‘gravità’ è molto ampio, radicato e antico. Basti pensare che la seria pesantezza del gravis latino è parente lontana ma chiara... del guru!
Noi possiamo parlare della gravità di un rimprovero, di una disgrazia, o di una situazione la cui gravità viene accentuata per attirare l’attenzione. A proposito di persone autorevoli si parla della gravità dello sguardo, della postura: insomma, sono tutte accezioni molto pesanti. Così per gravità (una delle prime attestazioni con questo significato, forse la prima, è di Leonardo da Vinci) si finisce per intendere proprio il fenomeno fisico che fa cadere i gravi, che non sono parrucconi che inciampano nella toga ma gli oggetti dotati di peso, secondo una fenomenologia nota da che mondo è mondo.

Aristotele, nel suo De Caelo (Peri ouranou in greco), afferma che il moto naturale dei corpi si manifesta in due modi diversi: tutto ciò che popola il cielo, dall’orbita lunare in su, segue un moto circolare ed eterno; e tutto ciò che sta sotto si muove di moto rettilineo, verso l’alto o verso il basso a seconda della leggerezza o pesantezza degli oggetti. Riguardo alla caduta dei gravi, la teoria è che, dopo una breve fase iniziale di accelerazione, il moto proceda a velocità costante, tanto maggiore quanto più pesante è l’oggetto in caduta.
Questa teoria è talmente convincente da avere dettato legge per almeno duemila anni, fino all’arrivo di quel… guastafeste che fu Galileo Galilei, che vi trova un paradosso che può essere rivelato grazie ad un semplice esperimento mentale.

Prendiamo due pesi diversi legati fra loro, e facciamoli cadere dall’alto. Sarà quello più leggero a rallentare quello pesante, o quello più pesante ad accelerare quello leggero? O non sarà viceversa che la somma dei due pesi, maggiore di quello di ciascuno, darà luogo ad una caduta più rapida? Tutto ciò è sicuramente contraddittorio, dunque Galileo fa esperimenti pratici, sia di caduta libera, che di caduta rallentata mediante l’uso di piani inclinati; e dimostra che, fintanto che l’attrito può essere trascurato, quello di caduta dei gravi è un moto uniformemente accelerato, e non un moto a velocità costante.

Contemporaneo di Galileo fu Keplero che, nello scoprire le leggi sui moti planetari, iniziò a sospettare che i corpi celesti si muovessero a causa di un qualche genere di forza fisica, e non a causa della volontà divina, o dell’azione diretta degli angeli.

Successivamente Isaac Newton scopre la legge dell’accelerazione centripeta nel moto circolare uniforme. Nel caso della Luna, affinché essa non parta per la tangente proseguendo in linea retta, occorre che venga attratta verso il centro della Terra da una forza tale da dar luogo ad un’accelerazione ben precisa. Ma anche un sasso che cade viene attratto verso il centro della Terra da una forza che lo fa accelerare: possibile che ci sia un legame fra i due fenomeni?

Il seme per giungere alla risposta viene gettato da Robert Hooke, importantissimo quanto misconosciuto scienziato contemporaneo di Newton, il quale sospetta che tutto dipenda da una legge quadratica inversa, ovvero una forza la cui intensità decresca con il quadrato della distanza. Da questa intuizione Newton ricava un primo risultato clamoroso: tutte e tre le leggi dei moti planetari di Keplero emergono come conseguenza diretta dell’ipotesi di Hooke, quindi esse smettono di essere semplici leggi empiriche, potendo essere dedotte da un unico principio fisico.

Ma Newton non si ferma qui: grazie ad un esperimento mentale dello stesso genere di quello di Galileo sulla caduta dei gravi, dimostra che fra la fisica terrestre e quella celeste non c’è alcuna differenza, demolendo definitivamente quello che rimaneva della fisica aristotelica. Egli infatti immagina una Piccola Luna: un sasso che giri in orbita intorno alla Terra, ad un’altezza tale proprio da sfiorarla. Usando la terza legge di Keplero, quella che lega la grandezza delle orbite al loro periodo, e basandosi sulla distanza della Luna e la durata della sua orbita, determina quanto dovrebbe durare un’orbita della Piccola Luna; da qui ricava l’accelerazione centripeta a cui dovrebbe essere soggetta, e scopre che il valore è identico a quello dell’accelerazione di gravità che fa cadere un sasso. La conclusione è che esiste un’unica forza di gravità ad agire allo stesso modo sul sasso, sulla Piccola Luna, e sulla Luna vera, e alla fine, su tutti i corpi che popolano il Sistema Solare. Non per niente, da allora si parlerà di Legge di gravitazione universale!

Il risultato è clamoroso, ma lascia aperta una domanda cruciale: come fanno due corpi celesti ad attrarsi a distanza, senza nessuna azione meccanica diretta? Newton, che già vedeva sollevarsi il polverone generato dagli scienziati che si opponevano alle sue scoperte, dichiara:
«Io considero le forze dal punto di vista matematico […] La ragione di queste proprietà della gravità non sono ancora riuscito a dedurla dai fenomeni, ma non formulo ipotesi (hypotheses non fingo). Qualunque cosa non sia deducibile dai fenomeni è infatti un’ipotesi, e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi metafisiche».

Esiste dunque una spiegazione per queste forze a distanza? In effetti c’è, ma per arrivarci abbiamo bisogno dell’opera di un altro gigante della scienza, tale Albert Einstein.

Parola pubblicata il 26 Gennaio 2024

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