Iattanza

iat-tàn-za

Significato Ostentato vanto di sé e dei propri meriti o capacità

Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo iactàntia, da iactare ‘vantarsi’, ma propriamente ‘gettare fuori’, da iàcere ‘scagliare’.

Intorno al tavolo su cui si definisce il concetto di ‘si crede chissà chi’ si affolla una quantità di parole quasi impareggiabile. Abbiamo una batteria variegatissima e foltissima di termini che denotano quell’atteggiamento, quella credenza — forse, per comodità categorica, potremmo usare il nome generale di ‘superbia’. Evidentemente, è qualcosa che ci scoccia in maniera speciale, o più correttamente, che è percepito come un pericolo e un disvalore ricco di sfumature da mettere in evidenza. Fra l’altro, questa calca di sinonimi insiste in massima parte su un registro elevato, spesso proprio aulico, quasi a voler denunciare il peccato superbo da un livello superiore — praticamente un contrappasso linguistico, anche se nella schiera troviamo la cacca stessa, che fra il noto altro ha giusto l’accezione di boria, e parole andanti come la spocchia, la strafottenza e la presunzione.

La iattanza, in questo quadro lessicale, è particolarmente poco comune, ma ci si presenta associando questo atteggiamento con un gesto che è molto nelle corde della nostra rappresentazione, di alcune modalità con cui immaginiamo la superbia. Il latino iactàntia è la presunzione, il vanto, e deriva dal verbo iactare, ‘vantarsi’, ma propriamente ‘gettare fuori’ (per esattezza, è un frequentativo di iàcere, ‘scagliare’). La iattanza è un vanto di sé, un’ostentazione di meriti che viene gettata fuori, agitata, sventolata, sbattuta in faccia. Un gesto figurato che, come si nota, sta in tanti modi di dire sul tema, ed è una normale rappresentazione di questo atteggiamento.

L’alterigia e l’altezzosità possono essere chiuse in sé stesse; boria, prosopopea e tronfiezza possono avere una silhouette specialmente gonfia; la vanagloria e la vanteria possono suonar subito di vano; la protervia, la sfrontatezza, la tracotanza possono mostrare un tratto di aggressività.

La iattanza è molto esplicita, molto estroversa; ostenta con forza, con un’energia spiccia che non ha le fragilità del pallone gonfiato dalla boria o le sbrodolature della prosopopea. Non adombra le trasgressioni superiori del protervo, del tracotante e del superbo in genere — ha una sua dimensione di schiettezza. Né è psicologicamente piatto come l’essere sbruffone o smargiasso. È piuttosto la superbia del lodarsi, dell’ostendere i propri meriti e le proprie capacità, la libidine del pavoneggiarsi, dello sbatacchiare con arroganza una pretesa superiorità (mentre la millanteria può anche essere molto mite).

Così parliamo della iattanza con cui ci mettiamo a tagliare le verdure per il pinzimonio in maniera spettacolare per fare colpo, nel gelo generale, della iattanza di una presentazione seria e vistosamente esagerata insieme, di un’offerta di facile risoluzione di un problema che è di una iattanza disarmante.

Se il campo è tanto affollato, significa che ogni sfumatura conta, e che saperle distinguere è essenziale: quello della iattanza è un carattere molto specifico, che a dispetto della rarità del termine è del tutto comune.

Parola pubblicata il 17 Maggio 2023