Etimologia voce latina, terza persona singolare del congiuntivo presente passivo del verbo imprìmere, che modernamente ha anche acquisito il significato di ‘stampare’: quindi ‘che si stampi’.
L’imprimatur, per lunghi secoli, è stato la formula con cui la censura ecclesiastica autorizzava la stampa di un testo. Non trovando niente da eccepire in ciò che era sottoposto al loro vaglio, il vescovo o il suo vicario generale sancivano l’imprimatur, determinando che niente ostava a che il testo fosse stampato (nihil obstat quominus imprimatur). In caso contrario, non avrebbe visto mai il torchio. Capita ancora, alle volte, sfogliando libri antichi, di vederlo scritto, all’inizio o alla fine.
L’immagine di questa consuetudine ha attecchito con forza nell’immaginario collettivo, ed è durata più dell’imprimatur ecclesiastico stesso: oggi si parla di imprimatur intendendo una qualunque autorizzazione alla stampa - o addirittura, con un senso più generale, una qualunque approvazione (ma è un uso più fiacco). Ovviamente, data la dignità censoria dell’imprimatur, l’uso è fondamentalmente ironico. Quindi si parla del professore che dà l’imprimatur alla pubblicazione del libro del suo pupillo, il direttore del giornale dà l’imprimatur all’articolo controverso del giornalista, e la parodia del libro può avere il divertito imprimatur dell’autore.
L’imprimatur, per lunghi secoli, è stato la formula con cui la censura ecclesiastica autorizzava la stampa di un testo. Non trovando niente da eccepire in ciò che era sottoposto al loro vaglio, il vescovo o il suo vicario generale sancivano l’imprimatur, determinando che niente ostava a che il testo fosse stampato (nihil obstat quominus imprimatur). In caso contrario, non avrebbe visto mai il torchio. Capita ancora, alle volte, sfogliando libri antichi, di vederlo scritto, all’inizio o alla fine.
L’immagine di questa consuetudine ha attecchito con forza nell’immaginario collettivo, ed è durata più dell’imprimatur ecclesiastico stesso: oggi si parla di imprimatur intendendo una qualunque autorizzazione alla stampa - o addirittura, con un senso più generale, una qualunque approvazione (ma è un uso più fiacco). Ovviamente, data la dignità censoria dell’imprimatur, l’uso è fondamentalmente ironico. Quindi si parla del professore che dà l’imprimatur alla pubblicazione del libro del suo pupillo, il direttore del giornale dà l’imprimatur all’articolo controverso del giornalista, e la parodia del libro può avere il divertito imprimatur dell’autore.