Interpretazione

in-ter-pre-ta-zió-ne

Significato Spiegazione, in particolare di significati esatti o reconditi; attribuzione di significato a un fatto; modo d’intendere; modo di sostenere un ruolo o eseguire una composizione

Etimologia voce dotta recuperata dal latino interpretatio, derivato di interpretari, che a sua volta viene da interpres ‘negoziatore, mediatore’, e poi ‘traduttore, commentatore’; questo è derivato dalla radice di prètium ‘prezzo’, col prefisso inter- ‘fra, in mezzo’.

In claris non fit interpretatio è un brocardo latino che letteralmente significa «nelle cose chiare non si dà interpretazione» – in parole povere: dov’è tutto chiaro, non c’è bisogno di interpretare. Già. Ma quand’è che le cose sono completamente chiare? Ogni messaggio dev’essere interpretato da chi lo riceve, e anche i più semplici – «domani non vengo», «chiudi la porta» – in certi contesti possono risultare opachi o fuorvianti. La nostra storia culturale è costellata di autori che hanno espresso sfiducia nella possibilità di comunicare, comprendere e comprendersi – dal sofista Gorgia, per il quale se anche qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile, fino a maestri novecenteschi dell’incomunicabilità come Kafka, Pirandello e Beckett, passando per Dickens, secondo il quale «ogni creatura umana è composta in modo da essere per tutte le altre un profondo segreto e un profondo mistero».

In filosofia, a parte il radicalismo polemico di Gorgia, il fatto che la realtà vada compresa e interpretata dovrebbe essere un fatto ovvio, per cui appare persino strano che un determinato approccio filosofico possa assumere l’interpretazione come pietra angolare. E in effetti, sino all’Ottocento l’ermeneutica è stata affare di filologi, teologi e giuristi, che avevano tra le mani testi complessi – specie la Bibbia – e suscettibili di molteplici interpretazioni. Come e quando, allora, l’ermeneutica passa dal campo filologico a quello filosofico? Facciamoci aiutare dall’etimologia.

Il latino interpretari deriva da interpres, che in origine – prima che traduttore o interprete – era il sensale, l’intermediario. Non è un caso che oggi, più che di interpreti e traduttori, si tenda a parlare di mediatori linguistici e culturali: la comunicazione tra due lingue diverse è molto più che lo scambio tra parole-etichette equivalenti, perché ogni idioma esprime un mondo di valori, tradizioni, cultura – d’altra parte, il greco idíoma era anzitutto la particolarità, il carattere peculiare, poi peculiarità specificamente linguistica e quindi linguaggio. Ma gli umani e i loro prodotti non sono tutti peculiari, ‘idiomatici’? A ben vedere, ogni comunicazione è mediazione e interpretazione, anche in assenza di diversità linguistica: perciò ognuno può restare un «profondo mistero» per l’altro. Questo però non significa che ogni individuo, ogni prospettiva, ogni orizzonte siano incommensurabili, e quindi abusiva ogni interpretazione e tradire ogni tradurre: gli orizzonti possono incontrarsi, dialogare e fondersi, pur imperfettamente.

L’importante è riconoscere l’esistenza di tali differenti prospettive: questa è l’essenza dell’ermeneutica come concezione filosofica. Nella storia del pensiero occidentale, è sempre prevalsa un’idea della ragione umana come specchio della realtà, una sorta di ‘sguardo da nessun luogo’ con accesso diretto al vero Essere. Per i filosofi ermeneutici come Hans-Georg Gadamer (1900-2002), invece, noi non possiamo attingere direttamente alcun ‘mondo in sé’, perché siamo sempre immersi in un determinato orizzonte, che è anzitutto linguistico. Ogni comprensione è mediata, perché avviene all’interno di un linguaggio; il nostro essere-nel-mondo è essenzialmente linguistico, e «l’essere che può venire compreso è linguaggio». La lingua è una vera e propria visione del mondo, una «totalità onniabbracciante» che ci precede e ci contiene, ed è grazie ad essa che noi abbiamo un mondo.

Nessuno, quindi, si accosta ‘vergine’ alla conoscenza, ma sempre sulla base di una precomprensione delle cose, di un bagaglio di pre-giudizi precedentemente assorbiti dal contesto storico-linguistico-culturale. In un certo senso, quindi, per comprendere bisogna aver già compreso. Tale paradosso, detto circolo ermeneutico, è solo apparente, perché soltanto da un determinato orizzonte è possibile comprendere qualcosa: un vedere ‘non situato’, fuori dal mondo, sarebbe un non capire nulla. I pregiudizi veicolati dal nostro orizzonte, quindi, lungi dall’essere un limite, un impedimento alla comprensione, ne sono un presupposto, una condizione di possibilità. L’Illuminismo sbagliava nel suo «pregiudizio contro i pregiudizi»: da questa postura è derivato l’atteggiamento scientistico, che suppone la possibilità di un assurdo approccio ‘neutro’ alla conoscenza rifiutando il nostro essere finiti, situati in determinate prospettive, paradigmi, tradizioni. D’altro canto, naturalmente, è necessario essere consapevoli dei nostri pregiudizi e metterli in gioco nel dialogo con l’altro, coi testi: l’interpretazione è «compito infinito», inesauribile e sempre aperto, una «conversazione» dopo la quale nessuna delle due parti sarà più la stessa.

Certo, questa visione che ci suona così familiare – secondo Gianni Vattimo, l’ermeneutica è la koinè filosofica (linguaggio e sentire comune) del nostro tempo – implica un’idea della verità come esperienza dinamica, circoscritta e perfettibile che non piace a tutti: in un’epoca in cui le ‘narrazioni’ sembrano aver preso il posto dei fatti, a molti pare che serva più che mai un concetto forte, solidamente fondato di verità, mentre la concezione ermeneutica – prospettivistica e quindi ‘debole’ – sarebbe erede del relativismo nichilistico nietzscheano per cui «non ci sono fatti, bensì solo interpretazioni». Gli ermeneutici, dal canto loro, ribattono che proprio una concezione della verità come prospettiva continuamente da verificare è un antidoto a chi vuole spacciare la sua interpretazione per verità assoluta. Ad ogni testa, come sempre, il suo cappello.

Parola pubblicata il 04 Luglio 2023

Le parole e le cose - con Salvatore Congiu

I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.