SignificatoIn teologia, luogo in cui si troverebbero le anime dei giusti e degli innocenti morti senza battesimo; situazione sospesa, incerta; margine, orlo
Etimologia dal latino limbus ‘orlo, bordo’, di origine sconosciuta.
Il modo in cui usiamo questa parola è influenzato in maniera determinante dal limbo raccontato da Dante nel IV canto dell’Inferno della Divina Commedia — come del resto vale, in genere, per il nostro modo di immaginare i luoghi oltremondani della religione cattolica. Non lo ha inventato lui, ma è la sua versione, sono le sue parole a dar forma al nostro concetto.
Un bordo, al di là del fiume Acheronte ma al di qua dei gironi di dannazione veri e propri, in cui si assiepano le anime dei morti che non peccarono, e che pure sono condannate ad essere escluse dalla grazia di Dio perché non battezzate — dai bambini in fasce ai grandi dell’antichità.
Quella rappresentata dal limbo (letteralmente un lembo, un orlo) non è una condizione di dolore, ma di sospensione, di attesa — per quanto senza speranza. Questo orlo mite d’inferno ha preso corpo dai primi ragionamenti di San’Agostino sul tema dei giusti e innocenti morti senza battesimo, fino ad arrivare a Pietro Lombardo, teologo del XII secolo, che più compiutamente strutturò questa ipotesi. Ed è, se forse non a lui, almeno ai suoi commentatori (fra cui il grande Tommaso D’Aquino) che si deve la scelta dell’immagine del lembo, del nome del limbo (limbus in latino).
Dante è sempre sul pezzo e recepisce. Peraltro metterà Pietro Lombardo con Tommaso D’Aquino in Paradiso, nel cielo del Sole. Ma curiosamente sente ancora il termine ‘limbo’ non come nome tecnico, ma nel suo significato di ‘orlo’: […] gente di molto valore/ Conobbi che ‘n quel limboeran sospesi. ‘Sospeso’ è un aggettivo ricorrente nella Commedia per le anime del limbo, ed è determinante nel nostro modo di figurarlo.
È appena il caso di rilevare che quello del limbo, comunque, non è mai stato affermato come dogma, tant’è che il papa emerito Benedetto XVI nel 2007 ne ha dichiarato l’inconsistenza (non è che l’ha abolito, come si è sentito molto dire con spirito caricaturale — se c’è qualcosa in cui la Chiesa non pecca mai è nella sottigliezza). Ma anche se è stato escluso dalle verità di fede, continua a dar forma al nostro immaginario.
Posso quindi parlare del limbo in cui si trova il disegno di legge di cui non viene più fissata la discussione; del limbo in cui giaccio dopo l’ultima prova del concorso, di cui saprò i risultati alla fine di travagliate valutazioni e ricorsi a non finire; del limbo del lavoro precario, o di quello in cui restano dei lavoratori dopo la nuova acquisizione della loro azienda. Una sospensione, in cui l’incertezza non pare si possa risolvere, in cui la speranza è ridicolmente remota.
Poi si può anche parlare di limbo quale margine di strutture anatomiche (pensiamo al limbo sclero-corneale dell’occhio), o in astronomia quale circonferenza brillante del corpo celeste eclissato. Usi tecnici ma importanti, perché misurano ancora il limbo come un orlo, senza saltare subito a un esito figurato finale. Continuare a sentirne il sapore originale ci mantiene in contatto col suo senso.
(Ma la gara danzante del limbo, che consiste nel passare a ritmo di musica sotto un’asticella che via via viene abbassata? Ebbene, quando Dante e Virgilio… no, non c’entra nulla, questo limbo è originario di Trinidad e probabilmente trae il suo nome dall’inglese limber ‘agile, flessuoso’.)
Il modo in cui usiamo questa parola è influenzato in maniera determinante dal limbo raccontato da Dante nel IV canto dell’Inferno della Divina Commedia — come del resto vale, in genere, per il nostro modo di immaginare i luoghi oltremondani della religione cattolica. Non lo ha inventato lui, ma è la sua versione, sono le sue parole a dar forma al nostro concetto.
Un bordo, al di là del fiume Acheronte ma al di qua dei gironi di dannazione veri e propri, in cui si assiepano le anime dei morti che non peccarono, e che pure sono condannate ad essere escluse dalla grazia di Dio perché non battezzate — dai bambini in fasce ai grandi dell’antichità.
Quella rappresentata dal limbo (letteralmente un lembo, un orlo) non è una condizione di dolore, ma di sospensione, di attesa — per quanto senza speranza. Questo orlo mite d’inferno ha preso corpo dai primi ragionamenti di San’Agostino sul tema dei giusti e innocenti morti senza battesimo, fino ad arrivare a Pietro Lombardo, teologo del XII secolo, che più compiutamente strutturò questa ipotesi. Ed è, se forse non a lui, almeno ai suoi commentatori (fra cui il grande Tommaso D’Aquino) che si deve la scelta dell’immagine del lembo, del nome del limbo (limbus in latino).
Dante è sempre sul pezzo e recepisce. Peraltro metterà Pietro Lombardo con Tommaso D’Aquino in Paradiso, nel cielo del Sole. Ma curiosamente sente ancora il termine ‘limbo’ non come nome tecnico, ma nel suo significato di ‘orlo’: […] gente di molto valore/ Conobbi che ‘n quel limbo eran sospesi. ‘Sospeso’ è un aggettivo ricorrente nella Commedia per le anime del limbo, ed è determinante nel nostro modo di figurarlo.
È appena il caso di rilevare che quello del limbo, comunque, non è mai stato affermato come dogma, tant’è che il papa emerito Benedetto XVI nel 2007 ne ha dichiarato l’inconsistenza (non è che l’ha abolito, come si è sentito molto dire con spirito caricaturale — se c’è qualcosa in cui la Chiesa non pecca mai è nella sottigliezza). Ma anche se è stato escluso dalle verità di fede, continua a dar forma al nostro immaginario.
Posso quindi parlare del limbo in cui si trova il disegno di legge di cui non viene più fissata la discussione; del limbo in cui giaccio dopo l’ultima prova del concorso, di cui saprò i risultati alla fine di travagliate valutazioni e ricorsi a non finire; del limbo del lavoro precario, o di quello in cui restano dei lavoratori dopo la nuova acquisizione della loro azienda. Una sospensione, in cui l’incertezza non pare si possa risolvere, in cui la speranza è ridicolmente remota.
Poi si può anche parlare di limbo quale margine di strutture anatomiche (pensiamo al limbo sclero-corneale dell’occhio), o in astronomia quale circonferenza brillante del corpo celeste eclissato. Usi tecnici ma importanti, perché misurano ancora il limbo come un orlo, senza saltare subito a un esito figurato finale. Continuare a sentirne il sapore originale ci mantiene in contatto col suo senso.
(Ma la gara danzante del limbo, che consiste nel passare a ritmo di musica sotto un’asticella che via via viene abbassata? Ebbene, quando Dante e Virgilio… no, non c’entra nulla, questo limbo è originario di Trinidad e probabilmente trae il suo nome dall’inglese limber ‘agile, flessuoso’.)