Moderno
mo-dèr-no
Significato Relativo al tempo presente; proprio dell’era moderna, che va convenzionalmente dalla scoperta delle Americhe alla Rivoluzione francese
Etimologia dal latino tardo modernus, derinvato dall’avverbio modo ‘or ora, recentemente’.
Parola pubblicata il 21 Ottobre 2016
Le parole della storiografia - con Alessandra Quaranta
Con Alessandra Quaranta, giovane dottoressa di ricerca in Storia, un venerdì ogni due vedremo quali sorprese sappia riservare un approccio storiografico alle parole più consuete.
L’aggettivo ‘moderno’ indica, nella storiografia italiana, quel periodo storico che inizia con la scoperta delle Americhe e termina con la Rivoluzione francese.
Il tempus modernum veicola un nuovo modo di considerare la realtà, concepita ‒ a partire dal Settecento ‒ come qualcosa che si modula costantemente, e che è in continua evoluzione. Tale concezione attribuisce un’importanza fondamentale al tempo, senza il quale nessuna evoluzione è possibile.
Nella visione illuminista di Voltaire l’età moderna appare puntellata da grandi progressi del genio umano: lo sviluppo delle belle arti, l’invenzione della stampa a caratteri mobili, la circumnavigazione dell’Africa, e l’ampliamento dei commerci a livello planetario sono soltanto alcuni dei fenomeni che secondo il filosofo francese caratterizzano il processo di incivilimento connotante i secoli che lo hanno preceduto.
Durante l’età moderna vengono gettati i semi dell’epoca nella quale tutt’oggi l’Europa vive: la nascita dell’individuo; il fiorire del principio di libertà di coscienza; l’esaltazione della ragione; il concetto di Stato come unico soggetto della politica internazionale e come garanzia contro i poteri locali arbitrari e non codificati giuridicamente; la convinzione per cui l’uomo può, con il proprio intelletto e le proprie competenze, intervenire nella natura, penetrarne i segreti, dominarla e persino migliorarla.
Eppure oggi la storiografia non può più parlare di un’età moderna in questi termini marcatamente positivi.
Prima di tutto si tratta di un periodo ricco di contraddizioni: per esempio, il principio dell’individualismo religioso si affermò soltanto a fatica, passando attraverso forti crisi ed eclatanti eventi. Si pensi alla condanna al rogo del medico spagnolo Michele Serveto, avvenuta a Ginevra nel 1553 a causa delle sue idee religiose; mentre qualche decennio Prima, nella Valle Camonica (Brescia), si consumava una delle più spietate cacce alle streghe (1518-1519) che l’Europa abbia mai conosciuto.
In secondo luogo molte sono le sopravvivenze del passato che connotano i secoli dal XV al XVIII, dai privilegi feudali alla monarchia di diritto divino, e che portarono – alla fine del Settecento – allo sbocco rivoluzionario.
Si noti ancora che le grandi scoperte ‘scientifiche’, come la teoria eliocentrica di Nicolò Copernico, la cui portata è per noi oggi evidente, non ebbero un impatto rivoluzionario nell’immediato, né riuscirono a scalfire la forma mentis degli ‘scienziati’ di allora, perché maturarono pienamente nel contesto culturale filosofico-“scientifico” di quel tempo. La Prima generazione di astronomi che recepì il modello copernicano non lo considerò come un nuovo paradigma cosmologico, bensì come una serie di ipotesi e tavole matematiche ausiliarie per chi praticava l’astronomia geostatica.
Infine, bisogna chiedersi perché il moderno sia sfociato, a partire dall’Ottocento, in un profondo senso di smarrimento dell’uomo e della società, nonché in una crisi, manifestatasi dapprima a livello filosofico e nelle arti figurative, e poi, dopo la Prima guerra mondiale, nella riflessione storiografica.
Un grande filosofo della Scuola di Francoforte, Max Horkheimer (1895-1973), in esilio negli Stati Uniti negli anni del regime nazional-socialista, ha addebitato l’origine di questa crisi a un’anomala evoluzione della ragione moderna che, all’apice del suo sviluppo, non è più in grado di valutare azioni e conoscenze. La ragione moderna è divenuta uno strumento per raggiungere fini dei quali la ragione non sa più nulla, e si limita a determinare l’efficienza dei mezzi. Al culmine del processo di razionalizzazione, la ragione è diventata irrazionale.