SignificatoRelativo al monte Olimpo; relativo alle Olimpiadi; calmo, sereno, imperturbabile
Etimologia voce dotta recuperata dal latino Olympicus prestito dal greco Olympikós, aggettivo sia di Ólympos ‘Olimpo’ sia di Olympía ‘Olimpia’.
Questa è una parola che vuole un’attenzione particolare: infatti, se da un lato ha un’accessibilità totale, al fondo dell’uso comune troviamo delle possibilità espressive semplicemente squisite.
Vi si avvicendano accezioni diverse, che si rifanno essenzialmente a due luoghi distinti (per quanto un loro collegamento a monte sarebbe da ponderare): il monte Olimpo, situato nel nord della Grecia, in Tessaglia, e la città-santuario di Olimpia, situata nella parte occidentale del Peloponneso.
Questa fu un centro religioso passato alla storia principalmente per due questioni: la prima è che vi si svolgevano i Giochi Olimpici, i più importanti dell’antichità, agone sportivo e celebrazione religiosa insieme — per i quali, famosamente, ogni quattro anni si sospendevano le guerre, e che fungevano da riferimenti cronologici per le datazioni. I Giochi Olimpici antichi ebbero 292 edizioni, coprendo un lasso di tempo di oltre un millennio. La seconda questione era la statua di Zeus, una delle Sette meraviglie del mondo antico. Realizzata dal leggendario scultore Fidia nel 432 a.C., era alta circa 12 metri, e criselefantina. Sia i Giochi sia la statua videro la loro fine per politiche dell’imperatore Teodosio (quello che impose la religione di Stato e divise in due l’Impero): fra la fine del IV e l’inizio del V secolo d.C., i giochi religiosi pagani furono banditi, e i templi dismessi. La statua pare sia finita in una collezione privata di un gerarca di Costantinopoli.
Oggi il santuario è ancora dismesso mentre le Olimpiadi sono rinate: così se si parla di ‘olimpico’ si può intendere tutto ciò che è relativo alle Olimpiadi, antiche o moderne che siano — ad esempio spiegando come la tale disciplina sia diventata sport olimpico, e spiegando come lo spirito olimpico può agire su un conflitto diplomatico. In questa veste è da non confondere con ‘olimpionico’, che invece indica chi vince le Olimpiadi, o almeno chi partecipa (è comunque un composto di níke ‘vittoria’).
Ma la seconda anima richiama il monte Olimpo, come dicevamo — e non nel suo rilievo orografico e alpinistico. Come non c’è nessuno che non sappia, vi abitavano le divinità del mito greco, e per l’esattezza il gruppo delle dodici divinità maggiori, Dodekatheon (in pratica, l’ultima generazione di divinità maggiori). Afrodite, Zeus, Era, Poseidone, Ares, Efesto, Artemide, Apollo, Demetra, Ermes, Atena e Dioniso (secondo una lezione non certo pacifica).
Nei postumi del revival neoclassicista, che aveva spiaccicato l’estetica antica sulla perfezione apollinea, l’olimpico inizia a maturare un significato esteso determinante: l’imperturbabile, il sereno, il maestosamente tranquillo, con una sfumatura di calmo orgoglio, distante dai confusi e limitati intelletti umani, capace di concezioni totali.
Così possiamo parlare di come la reazione nel momento d’emergenza possa essere stata di olimpica padronanza, della serenità olimpica con cui affermo che la tale maldicenza non mi tange, ma anche di come la gente dell’ultimo tavolo si attardi con calma olimpica oltre l’orario di chiusura, per la vibrante gioia della brigata di sala, o dell’olimpica benevolenza con cui lo zio si appresta a intervenire quando salta fuori una domanda ingenua su un vino.
Estensione raffinata, ricercata, e che al contempo è una patente idiozia, visto che nessuno dell’olimpica dozzina (nemmeno Apollo) spicca per imperturbabilità, per serenità, per calma. Al contrario, il dato che dovrebbe farsi sentire è l’eccezionalità di divinità che abitano la terra — che per quanto in alto, fra nebbie inaccessibili, non trascendono del tutto. Come canta Psarantonis, cantore cretese, Zeus fu un pastore sulla montagna di Anogeia.
Questa è una parola che vuole un’attenzione particolare: infatti, se da un lato ha un’accessibilità totale, al fondo dell’uso comune troviamo delle possibilità espressive semplicemente squisite.
Vi si avvicendano accezioni diverse, che si rifanno essenzialmente a due luoghi distinti (per quanto un loro collegamento a monte sarebbe da ponderare): il monte Olimpo, situato nel nord della Grecia, in Tessaglia, e la città-santuario di Olimpia, situata nella parte occidentale del Peloponneso.
Questa fu un centro religioso passato alla storia principalmente per due questioni: la prima è che vi si svolgevano i Giochi Olimpici, i più importanti dell’antichità, agone sportivo e celebrazione religiosa insieme — per i quali, famosamente, ogni quattro anni si sospendevano le guerre, e che fungevano da riferimenti cronologici per le datazioni. I Giochi Olimpici antichi ebbero 292 edizioni, coprendo un lasso di tempo di oltre un millennio. La seconda questione era la statua di Zeus, una delle Sette meraviglie del mondo antico. Realizzata dal leggendario scultore Fidia nel 432 a.C., era alta circa 12 metri, e criselefantina. Sia i Giochi sia la statua videro la loro fine per politiche dell’imperatore Teodosio (quello che impose la religione di Stato e divise in due l’Impero): fra la fine del IV e l’inizio del V secolo d.C., i giochi religiosi pagani furono banditi, e i templi dismessi. La statua pare sia finita in una collezione privata di un gerarca di Costantinopoli.
Oggi il santuario è ancora dismesso mentre le Olimpiadi sono rinate: così se si parla di ‘olimpico’ si può intendere tutto ciò che è relativo alle Olimpiadi, antiche o moderne che siano — ad esempio spiegando come la tale disciplina sia diventata sport olimpico, e spiegando come lo spirito olimpico può agire su un conflitto diplomatico. In questa veste è da non confondere con ‘olimpionico’, che invece indica chi vince le Olimpiadi, o almeno chi partecipa (è comunque un composto di níke ‘vittoria’).
Ma la seconda anima richiama il monte Olimpo, come dicevamo — e non nel suo rilievo orografico e alpinistico. Come non c’è nessuno che non sappia, vi abitavano le divinità del mito greco, e per l’esattezza il gruppo delle dodici divinità maggiori, Dodekatheon (in pratica, l’ultima generazione di divinità maggiori). Afrodite, Zeus, Era, Poseidone, Ares, Efesto, Artemide, Apollo, Demetra, Ermes, Atena e Dioniso (secondo una lezione non certo pacifica).
Nei postumi del revival neoclassicista, che aveva spiaccicato l’estetica antica sulla perfezione apollinea, l’olimpico inizia a maturare un significato esteso determinante: l’imperturbabile, il sereno, il maestosamente tranquillo, con una sfumatura di calmo orgoglio, distante dai confusi e limitati intelletti umani, capace di concezioni totali.
Così possiamo parlare di come la reazione nel momento d’emergenza possa essere stata di olimpica padronanza, della serenità olimpica con cui affermo che la tale maldicenza non mi tange, ma anche di come la gente dell’ultimo tavolo si attardi con calma olimpica oltre l’orario di chiusura, per la vibrante gioia della brigata di sala, o dell’olimpica benevolenza con cui lo zio si appresta a intervenire quando salta fuori una domanda ingenua su un vino.
Estensione raffinata, ricercata, e che al contempo è una patente idiozia, visto che nessuno dell’olimpica dozzina (nemmeno Apollo) spicca per imperturbabilità, per serenità, per calma. Al contrario, il dato che dovrebbe farsi sentire è l’eccezionalità di divinità che abitano la terra — che per quanto in alto, fra nebbie inaccessibili, non trascendono del tutto. Come canta Psarantonis, cantore cretese, Zeus fu un pastore sulla montagna di Anogeia.