Tangere

tàn-ge-re (io tàn-go)

Significato Toccare; turbare, smuovere, interessare, coinvolgere

Etimologia prestito dal latino tangere ‘toccare’.

Che elegante latinismo! Elegante ma anche alla mano: è davvero simpatico in espressioni diffuse come “non mi tange”. Ma… un momento. Variazioni sul tema a parte, è usato in altre espressioni? Praticamente no, e c’è un motivo.

Il verbo latino ‘tangere’ ha un mucchio di figli, in italiano. Significa ‘toccare’. E ne sgorgano le rette tangenti di una circonferenza (che la toccano), le tangenti che l’infame si prende di nascosto (con innocenza etimologica, gli toccano), il tatto e l’intatto (dal suo participio passato, sono ‘toccato’ e ‘intoccato’), la tangenziale della città che scorre rapida in tondo fra punti d’accesso, il corpo con cui il tangibile viene alla mano. Ma il tangere, preso in prestito pari pari così com’era dal latino, in italiano ha fatto solo comparse episodiche.

Non è stato usato di rado, ma sempre in maniera polverizzata, in un lessico tendenzialmente molto alto, poetico: sono usi che danno l’impressione, più che dell’impiego di un termine italiano vitale, di un prestito ripescato di volta in volta dal latino. Insomma, sembra che non si sia mai scrollato di dosso l’aura del latinismo duro e puro. Ma abbiamo un bel però che ci riporta all’aspetto simpatico.

Nel secondo canto dell’Inferno della Divina Commedia (che essendo proprio all’inizio, e importante per le informazioni che dà nella narrazione, gode di una notorietà piuttosto diffusa) Virgilio racconta a Dante com’è che è venuto a guidarlo nel viaggio incipiente: una donna beata e bella è scesa dal Paradiso nel Limbo a investirlo di questo incarico. Si tratta ovviamente di Beatrice, per la quale Virgilio non ha solo una sconfinata venerazione, ma anche una certa premura: perché ella non teme di scendere da lui all’Inferno? Beatrice gli risponde che si deve temere solo ciò che ha potere di far male, mentre I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,/ che la vostra miseria non mi tange,/ né fiamma d’esto incendio non m’assale. Non solo l’anima di Beatrice non corre rischi concreti, ma inoltre (per motivi complessi che verranno compiutamente spiegati solo nel cielo di Giove) dalla miseria senza appello dei dannati non è per nulla turbata.

Non mi tange. È da questo uso dantesco che l’espressione “non mi tange” si è affermata, e con essa questo ‘tangere’ molto ristretto, per di più tendenzialmente limitato agli usi negativi: se qualcosa non mi tange vuol dire che non mi scuote, che non mi turba, che non mi coinvolge, che non mi interessa. È detto in maniera graziosa, particolarmente piacevole visto che in effetti il “non mi tange” può coprire larga parte del ‘non me ne frega’.

Quindi, quando sentendo le disgrazie dell’ex (che abbiamo maledetto in ogni lingua) glissiamo dicendo che non ci tangono, quando dico con serenità olimpica (schietta o manierata) che quella maldicenza non mi tange, e quando osservo che le piccole prospettive allettanti per il quotidiano mi tangono più dei grandi ideali, non sto ricorrendo tanto a un latinismo… quanto a un dantismo!

Parola pubblicata il 12 Gennaio 2020