Romantico

ro-màn-ti-co

Significato Della corrente artistica del romanticismo; incline al sentimento, alla fantasia, alla passione, alla malinconia, o che ispira sentimenti di questo genere

Etimologia dall’inglese romantic, prestito dal francese romantique, derivato dell’antico francese romant ‘romanzo’.

‘Romantico’ è una parola gigantesca, una di quelle trovate che è stata capace, nella nostra storia, di riunire sotto un solo nome un intero genere di sentimenti apparentemente disparati, e un’intera classe di manifestazioni naturali, umane e artistiche che ne siano scaturigine. Il fatto che il suo senso si sia accomodato soprattutto su una traccia di sentimento amoroso un po’ oleografico, quello da commedia romantica, da cena romantica a lume di candela, è frutto di una selezione tutt’altro che peregrina. Dobbiamo dissiparci un po’ di nebbia — anche se la nebbia, in effetti, è romantica.

Siamo davanti a un anglismo: è derivato dal romantic inglese un paio di secoli fa. Letteralmente, il suo significato sarebbe ‘romanzesco’, in quanto mutuato dal francese romantique, a sua volta da roman ‘romanzo’ (o meglio da romant o romanz in antico francese). Il concetto di ‘romanzo’ emerge nel senso di opera scritta non in lingua latina ma in una lingua romana, cioè in senso lato derivata dal latino — pensiamo ai grandi romanzi francesi del medioevo, che trattavano soprattutto temi cavallereschi (e spesso erano in versi). Proprio il romanzo cavalleresco è il genere che ci interessa seguire, ma aggiungiamo che le prime attestazioni di romantic si collocano in ambito pittorico: essendo ciò che è proprio della fantasia romanzesca, indica opere pittoresche, con soggetti non reali, perfino inverosimili.

Dobbiamo tener conto del fatto che in quell’era d’Illuminismo, fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, in Europa l’intreccio di razionalismo e classicismo era imperante: le porte della Rivoluzione Industriale erano aperte, il progresso si srotolava come un tappeto su ogni campo, il passato brillante da cui farsi ispirare nell’arte era quello apollineo dei marmi greci — ma c’era chi coltivava qualche dubbio. Proprio il genere cavalleresco, forte della continuità di un successo secolare ininterrotto, con cui continuava a comunicare i suoi emozionanti modelli di sentimento, portò in dote il suo nome a chi voleva immaginare, sentire qualcosa di diverso.

Con la preparazione di lunghi esperimenti e avvisaglie attraverso il Settecento, dapprima in maniera particolarmente massiccia in Germania (che mutua il romantic in romantisch) e poi nel resto d’Europa, crebbe una corrente artistica che cercò l’intima sensibilità individuale nei sentimenti di amore, di malinconia, di tensione verso l’indefinito e l’assoluto, che indagò il senso sublime delle terribili bellezze naturali e fantastiche, che ripercorse vie domestiche d’identità fra tradizioni popolari e nazioni, che volle guardare a fondo il fantastico, l’ombra, la rovina, il pittoresco.

Abbazia nel querceto (1808-10), di Caspar David Friedrich.

Noi diremo: ma nella cena a lume di candela, che cosa c’è del sentimento della montagna immane che torreggia sopra di noi, dell’abbazia mezzo crollata fra cui pascolano le pecore, delle epigrafi sulle lapidi del cimitero abbandonato, della storia che una catena interminabile di nonne ha raccontato davanti al fuoco, dell’eroismo del cavaliere che vince l’ostacolato ma pieno amore della principessa?

Le fucine del romanticismo, con questi estremi di sentimento, ci hanno certo regalato la possibilità preziosissima di poter trovare condivisi alcuni nostri modi di sentire, specie quelli abissali o celesti o impronunciabili. Non siamo più soli davanti all’infinità sovrumanamente potente del mare in tempesta — quello lì è un sentimento reso accessibile.
Ma non dobbiamo pensare che il romanticismo sia solo questo: questo è solo ciò che lo ha caratterizzato in modo più evidente, definitorio, e ciò che continua a parlarci a un livello alto. Aprire le cateratte dei sentimenti significa far fluire e dare spazio anche a quelli più tiepidi e leggeri, quelli più normali e che meno direttamente hanno a che fare con il limite umano, il tempo, l’io.

C’è un motivo se la vicenda di Paolo e Francesca — anzi la singola scena del loro bacio — raccontata da Dante è immortale. Perché è il distillato di un romanticismo eterno e normale. Non ci sono dentro slanci titanici, sfide celesti, domande sul morire, spiriti di popolo. Stanno leggendo un libro insieme — come capita di fare quando si ripassa insieme a casa per scuola, o quando in vacanza si condivide l’ultima uscita del giornalino — e lo stanno leggendo col batticuore perché ci trovano dentro l’eco di ciò che sentono l’uno per l’altra, finché «la bocca mi basciò tutto tremante. / Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non vi leggemmo avante».

Le commedie romantiche e le romantiche cene a lume di candela non sono degeneri figlie di un dio minore, segno di tempi imbarbariti. Non sono meno romantiche, sono solo più volatili. Spesso non abbiamo idea di quanto sentimenti similmente teneri e perfino fatui fossero provati e narrati nel passato: dopotutto restano i monumenti, non la gente che ci si è baciata sotto. Ammesso e non concesso che con la loro levità quelle cene e quelle commedie non riescano comunque a planare sulla totalizzante e disorientante indecifrabilità dell’amore, nel più abissale spirito romantico.

Ah, che cosa stavano leggendo Paolo e Francesca? Dell’amore di Lancillotto e Ginevra, in un romanzo cavalleresco.

Parola pubblicata il 18 Agosto 2022