SignificatoPersona così simile ad un’altra da poter essere scambiata per questa
Etimologia dal nome di Sosia, personaggio della commedia “Anphitruo” (“Anfitrione”) dell’autore latino Tito Maccio Plauto.
Col suo “Anfitrione”, qualche anno prima del 200 a.C., Plauto mette in scena la splendida narrazione della liaison amorosa che portò alla nascita di Ercole.
Anfitrione, comandante tebano, si trovava lontano da casa a battagliare; nel mentre, sua moglie Alcmena ebbe in sorte di destare le sensuali attenzioni del sempre arzillo Giove. Questo, aiutato dal furbo Mercurio, ordì un inganno per sedurla: Giove avrebbe preso le fattezze di Anfitrione, Mercurio quelle del suo servo, Sosia; quindi si sarebbero recati a casa di lei - che sicuramente li avrebbe scambiati per gli originali, accogliendo il marito come si intende sia d’uopo fare con un comandante vittorioso di ritorno dalla guerra. Il problema è che davvero Anfitrione e Sosia stavano tornando dalla guerra - e il servo era stato mandato avanti per annunciare il prossimo ritorno del comandante. Solo che il povero Sosia, giunto davanti alla casa dei padroni, trova a far da palo Mercurio, che ha assunto le sue fattezze.
Di qui in poi è il delirio: Sosia viene convinto da Mercurio di non essere Sosia, quindi torna (non poco confuso) dal suo padrone, che l’indomani torna a casa, dove la moglie crede di averlo salutato il mattino stesso, alla fine di una notte di fuoco, dato che doveva ripartire per una nuova campagna bellica. Fra litigi comici tutti giocati sull’equivoco, spiegoni insostenibili in cui vari personaggi tentano di fare il punto della situazione, parti mancanti del testo e un deus ex machina che tutto (più o meno) chiarifica, Alcmena partorisce due gemelli: uno è figlio di Anfitrione, uno di Giove. E Anfitrione non se la prende a male, visto che il piccolo bastardo, Ercole, gli darà gloria immortale. Anzi, sul finale invita il pubblico ad un applauso in onore del dio.
La presa di questa storia sull’immaginario collettivo nei ventidue secoli in cui è vissuta (rielaborata nel XVII secolo anche da Molière) è stata poderosa. Così poderosa che la gag del servo che incontra uno tale e quale a lui (e che pretende di essere lui) ha dato vita ad una bellissima antonomasia - il nome di quel servo, Sosia - che noi, oggi, usiamo consuetamente per indicare una persona così tanto somigliante ad un’altra da poter essere scambiata per questa. E non si può non pensare che tutto questo sia accaduto perché duemiladuecento anni fa un sacco di gente ha riso alle battute di uno scrittore.
Col suo “Anfitrione”, qualche anno prima del 200 a.C., Plauto mette in scena la splendida narrazione della liaison amorosa che portò alla nascita di Ercole.
Anfitrione, comandante tebano, si trovava lontano da casa a battagliare; nel mentre, sua moglie Alcmena ebbe in sorte di destare le sensuali attenzioni del sempre arzillo Giove. Questo, aiutato dal furbo Mercurio, ordì un inganno per sedurla: Giove avrebbe preso le fattezze di Anfitrione, Mercurio quelle del suo servo, Sosia; quindi si sarebbero recati a casa di lei - che sicuramente li avrebbe scambiati per gli originali, accogliendo il marito come si intende sia d’uopo fare con un comandante vittorioso di ritorno dalla guerra. Il problema è che davvero Anfitrione e Sosia stavano tornando dalla guerra - e il servo era stato mandato avanti per annunciare il prossimo ritorno del comandante. Solo che il povero Sosia, giunto davanti alla casa dei padroni, trova a far da palo Mercurio, che ha assunto le sue fattezze.
Di qui in poi è il delirio: Sosia viene convinto da Mercurio di non essere Sosia, quindi torna (non poco confuso) dal suo padrone, che l’indomani torna a casa, dove la moglie crede di averlo salutato il mattino stesso, alla fine di una notte di fuoco, dato che doveva ripartire per una nuova campagna bellica. Fra litigi comici tutti giocati sull’equivoco, spiegoni insostenibili in cui vari personaggi tentano di fare il punto della situazione, parti mancanti del testo e un deus ex machina che tutto (più o meno) chiarifica, Alcmena partorisce due gemelli: uno è figlio di Anfitrione, uno di Giove. E Anfitrione non se la prende a male, visto che il piccolo bastardo, Ercole, gli darà gloria immortale. Anzi, sul finale invita il pubblico ad un applauso in onore del dio.
La presa di questa storia sull’immaginario collettivo nei ventidue secoli in cui è vissuta (rielaborata nel XVII secolo anche da Molière) è stata poderosa. Così poderosa che la gag del servo che incontra uno tale e quale a lui (e che pretende di essere lui) ha dato vita ad una bellissima antonomasia - il nome di quel servo, Sosia - che noi, oggi, usiamo consuetamente per indicare una persona così tanto somigliante ad un’altra da poter essere scambiata per questa. E non si può non pensare che tutto questo sia accaduto perché duemiladuecento anni fa un sacco di gente ha riso alle battute di uno scrittore.