Spaccare

spac-cà-re (io spàc-co)

Significato Rompere, spezzare con un’azione violenta, anche usando attrezzi taglienti o contundenti; dividere uno schieramento, un gruppo, un movimento; piacere molto, essere strabiliante per bellezza, per bravura

Etimologia dall’ipotetica voce longobarda spahhan, ‘fendere’.

L’etimologia ci permette di tessere una rete di nessi fra fatti distanti e apparentemente scollegati. Oggi capiamo come il commento sul nuovo singolo che — l’hai sentito? — spacca di brutto sia collegato senza soluzione di continuità col re longobardo Alboino che varca l’Isonzo alla testa del suo popolo e dall’alto di un monte guarda il bel verde Paese che si accinge a conquistare.

Come le fatine della Bella addormentata nel bosco, nel medioevo ciascuna lingua straniera ha dato all’italiano nascente una benedizione diversa. Io, fràncone, ti dono termini dell’amministrazione e del diritto, io, greco bizantino, ti dono termini della marineria e del commercio, io, longobardo, ti dono termini — anzi praticamente tutti i termini più comuni che mai avrai — della falegnameria e della violenza.

Spaccare è una parola che spacca — in pratica, un’autologia. Deriva dal termine longobardo (ricostruito, perché i longobardi non scrissero in longobardo) spahhan, cioè ‘fendere’. Ha un suono duro, rotto, addirittura faticoso, che trasmette con evidenza l’azione violenta del rompere qualcosa. Non è un rompere qualunque però. È un rompere che taglia e contunde, con colpi energici. Pensiamo allo spaccare la legna: è questo il vigore che ci propone lo spaccare.

Se rompo un bicchiere sono sbadato, se infrango un bicchiere oh messere è cosa da nulla, se spacco un bicchiere che, sono stato cresciuto da una famiglia di rinoceronti? Mi sono messo a mulinare un bastone in cucina? Ho tentato di ammazzare la zanzarella posata sulla parete schiantandole addosso un calice di baccarat della bisnonna?

Questa violenza si trova negli ameni florilegi delle minacce più famose e correnti — dallo spaccare la faccia allo spaccare le ossa — nell’iperbole del sole dalla radiazione così rovente che spacca le pietre, e quasi per ossimoro, per assurdo accostamento di opposti, nella precisione dello spaccare il capello in quattro, dello spaccare il minuto.

Il risultato dello spaccare non è una divisione netta, chirurgica: è doloroso, improvviso, irregolare. Se l’evento divide l’opinione pubblica, se la decisione divide il consiglio, tutto si può svolgere in maniera ordinata, seduta, con una penna o un bicchiere in mano. Ma se l’opinione pubblica si spacca, se si spacca il consiglio, ecco che la situazione si tinge di sgomento, disorientamento.

Ma brillante — per chiudere il rude cerchio longobardo — è il modo in cui lo spaccare si è guadagnato nel linguaggio giovanile (giovanile vintage) un significato completamente positivo. Un atto di distruzione violenta diventa caratteristico di qualcosa che piace tantissimo, di una persona o di una cosa strabiliante per bellezza, bravura. È un’energia che funziona, che calamita, che fa muovere il sangue, che spazza dirompente il vecchio, l’ordinario e il noioso. Spacca l’assolo, spacca il finale di stagione, spacca l’atleta. Che però baderà a non spaccarsi.

In effetti si può considerare anche un altro spaccare, cioè l’aprire un pacco, il togliere da un pacco. Non c’entra nulla, etimologicamente: ‘pacco’ è un prestito dal neerlandese (c’è chi direbbe olandese) pak, in origine un involto, una balla di lana — attestato addirittura a inizio Ottocento.

Parola pubblicata il 23 Settembre 2022