SignificatoDistendersi o sedersi in modo scomposto
Etimologia attraverso la voce settentrionale stravacar, probabilmente dall’ipotetica voce del latino parlato extravacuare ‘vuotare fuori’.
Alcune parole, coi movimenti, le posizioni e le masse che descrivono, presidiano importanti stati mentali, e d’animo. Tale è la dimensione dello stravaccarsi — non una parola aulica, ma forte di un’incisività descrittiva a cui ricorriamo spesso, e con piacere autentico. Qui vedremo che cosa diamine c’entra la vacca (questa, stravaccata, è di Van Gogh).
La risposta sembra ormai sicura: etimologicamente, non c’entra nulla — anche se non si può escludere una sua vaga influenza a valle. Il problema è che vedere al fondo della storia etimologica dello stravaccare non è semplice: le parole marmoree, altissime, possono essere usate per secoli da gente dotta che non ne sgualcisce un petalo, e la memoria della loro origine è eterna. Invece alcune di quelle basse rotolano nella lingua scritta come mostri della laguna, dalle forme grottesche e coperte di alghe. Figuriamoci che lo stravaccarsi compare per iscritto negli anni ‘70 dell’Ottocento — ma c’erano dei begli antecedenti.
Infatti girava già da secoli, nel Settentrione, almeno fra la Romagna e il Milanese, la voce stravacar, in molte differenti varianti, col significato di ‘distendere’, ‘sdraiare’, ma anche ‘rovesciare’ e ‘ribaltare’. Proprio questi significati iniziano a permetterci una prima misura dei significati dello stravaccarsi, che non è tanto un distendersi da silfide sul greto del ruscello, quanto un rovesciarsi a mo’ di carro fuori strada. Resta però da capire da dove salti fuori questo stravacar con le sue varianti.
La ricostruzione oggi più accreditata vuole che nasca da un verbo latino non attestato, extravacuare — cioè ‘vuotare’, ‘vuotar fuori’. Quella dello stravaccato è quindi la posizione assunta dalla vasca ribaltata, dal carretto scaricato, dalla cesta rovesciata, in quel movimento che è insieme un distendere e uno scaricare.
Capiamo quanto calzi una simile ricostruzione col movimento che facciamo quando, nel modo più classico, ci stravacchiamo sul divano, con lo stato che riconosciamo quando troviamo la famiglia già stravaccata in spiaggia, con lo spirito con cui dopo tanto girare ti stravacchi in poltrona a leggere.
Si legge che si tratta di uno sdraiarsi, di un sedersi estremamente scomposto — ma questo è solo un effetto. È essenzialmente un rovesciarsi come si rovescia una carriola piena: il risultato non sarebbe consono alla cena all’ambasciata con la Regina, siamo d’accordo, ma non ha la trascuratezza licenziosa dello sbracato. Lo stravaccato è sereno, buttato lì, con voluttuosa pesantezza. Come una mucca sul prato.
Alcune parole, coi movimenti, le posizioni e le masse che descrivono, presidiano importanti stati mentali, e d’animo. Tale è la dimensione dello stravaccarsi — non una parola aulica, ma forte di un’incisività descrittiva a cui ricorriamo spesso, e con piacere autentico. Qui vedremo che cosa diamine c’entra la vacca (questa, stravaccata, è di Van Gogh).
La risposta sembra ormai sicura: etimologicamente, non c’entra nulla — anche se non si può escludere una sua vaga influenza a valle. Il problema è che vedere al fondo della storia etimologica dello stravaccare non è semplice: le parole marmoree, altissime, possono essere usate per secoli da gente dotta che non ne sgualcisce un petalo, e la memoria della loro origine è eterna. Invece alcune di quelle basse rotolano nella lingua scritta come mostri della laguna, dalle forme grottesche e coperte di alghe. Figuriamoci che lo stravaccarsi compare per iscritto negli anni ‘70 dell’Ottocento — ma c’erano dei begli antecedenti.
Infatti girava già da secoli, nel Settentrione, almeno fra la Romagna e il Milanese, la voce stravacar, in molte differenti varianti, col significato di ‘distendere’, ‘sdraiare’, ma anche ‘rovesciare’ e ‘ribaltare’. Proprio questi significati iniziano a permetterci una prima misura dei significati dello stravaccarsi, che non è tanto un distendersi da silfide sul greto del ruscello, quanto un rovesciarsi a mo’ di carro fuori strada. Resta però da capire da dove salti fuori questo stravacar con le sue varianti.
La ricostruzione oggi più accreditata vuole che nasca da un verbo latino non attestato, extravacuare — cioè ‘vuotare’, ‘vuotar fuori’. Quella dello stravaccato è quindi la posizione assunta dalla vasca ribaltata, dal carretto scaricato, dalla cesta rovesciata, in quel movimento che è insieme un distendere e uno scaricare.
Capiamo quanto calzi una simile ricostruzione col movimento che facciamo quando, nel modo più classico, ci stravacchiamo sul divano, con lo stato che riconosciamo quando troviamo la famiglia già stravaccata in spiaggia, con lo spirito con cui dopo tanto girare ti stravacchi in poltrona a leggere.
Si legge che si tratta di uno sdraiarsi, di un sedersi estremamente scomposto — ma questo è solo un effetto. È essenzialmente un rovesciarsi come si rovescia una carriola piena: il risultato non sarebbe consono alla cena all’ambasciata con la Regina, siamo d’accordo, ma non ha la trascuratezza licenziosa dello sbracato. Lo stravaccato è sereno, buttato lì, con voluttuosa pesantezza. Come una mucca sul prato.