Sugo

sù-go

Significato Liquido che si produce nella cottura delle vivande; condimento; idea fondamentale; gusto, soddisfazione

Etimologia dal latino sucus ‘sugo, succo’.

In latino c’è solo il sucus. Ma per noi i suoi due figli, il sugo e il succo, sono tutt’altro che cloni: vivono vite differentissime, e anche quando frequentano gli stessi discorsi si comportano in maniera diversa.

Specialmente, il succo è spremuto o centrifugato, è una parte liquida che si porta fuori l’essenza di frutta, verdura — si separa da ciò che lo produce e si serve anche da solo. Il sugo, invece, è il complesso risultato di preparazioni culinarie, espressione di ingredienti e reazioni chimiche attentamente seguite; può anche contribuirvi un’uscita di succhi da ciò che si lavora, ma spesso è altro rispetto alla pietanza che accompagna.

Senza discettare troppo sulla differenza materiale fra sugo e succo, osserviamo quella figurata: parlare del succo della vicenda ha un che di essenziale, sbrigativo, che puoi tirar giù senza perdere tempo. Invece il sugo della vicenda è più vicino al suo buono che al suo succo. Il sugo di una vicenda non è l’essenza, non è il centro, ma è ciò che la rende gustosa, ciò che la rende interessante, ciò che la condisce e che le dà un certo carattere. Non diremmo che il sugo di pomodoro è l’essenza della pasta al pomodoro, però possiamo dire che la definisce, è ciò che ne costituisce l’odore e l’idea fondamentale. Il sugo della storia non è un nucleo sbrigativo da tracannare, è una base che contiene il bello, il ghiotto, il sensato.

Dopotutto, se smettiamo di seguire una serie perché ci si trova poco sugo, è perché il sugo ha una precisa dimensione di soddisfazione e gusto.


Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: […] «Ho imparato,» diceva, «a non mettermi ne’ tumulti […], a non alzar troppo il gomito […]» E cent’altre cose. Lucia però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma non n’era soddisfatta […]. «E io,» disse un giorno al suo moralista, «cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che son venuti a cercar me. […]» Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani, e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Capitolo XXXV

No, non è la morale della favola. È qualcosa di molto più concreto, inseparabile dalla pasta della vita. Non è neppure un riassunto, come quelli che infestano le edizioni scolastiche dei Promessi sposi; altrimenti sarebbe, semmai, un “succo”, che impone giusto la fatica della spremitura. Il sugo è tutt’altra cosa: chiede un tempo di cottura e l’abilità di combinare i vari ingredienti.

Noi italiani lo sappiamo bene: è il sugo che definisce l’identità specifica di un piatto e che, al contempo, lo inscrive in una tradizione antica. Dunque il sugo della storia è, in pratica, ciò che le dà sostanza e gusto. È il suo senso più profondo, quello che la muove, la rende unica e la fa amare.

C’entra poco, insomma, con la cantilena moralistica di Renzo, che ricorda fin troppo il modus vivendi di don Abbondio: starsene in pace curando i fatti propri. Peraltro, osserva Lucia, è una strategia che non funziona, perché i guai arrivano lo stesso.

Va detto che il desiderio di Renzo è assolutamente comprensibile: lui vuole una ricetta. Una sequela di consigli puntuali, che basti eseguire a puntino. La vita, però, è troppo complessa per le ricette. L’unica è mettersi a fare il sugo, e a farlo insieme (perché le verità più preziose si trovano solo in “un lungo cercare insieme”). Prendere i giorni, belli e brutti, pestarli come pomodori, e lasciarli cuocere per farne il nutrimento di una “vita migliore”; che è, sì, la vita dopo la morte, ma anzitutto la vita su questa terra.

“Sentir e meditar” era l’esortazione che un giovanissimo Manzoni intonava nel carme In morte di Carlo Imbonati: vivere il tempo con tutta la pienezza dell’emozione e poi meditarci su, lasciarlo sobbollire. Non per nulla i Promessi sposi definiscono il cuore umano un “guazzabuglio”, letteralmente il brodo che bolle in pentola: è lì che, lentamente e nascostamente, cuciniamo il nostro sugo.

Ed è così che i due sposini arrivano a una conclusione che può parer banale, ma nella quale la loro storia riacquista, invece, profondità: da un lato il mistero di un Male imprevedibile, dall’altro la fiducia in un Bene che è sempre presente e che può, in ogni circostanza, essere scelto.

Non è un sugo particolarmente raffinato, ma è saporoso come quello delle nonne: ti lascia in bocca il gusto di un’esistenza ricca di significato e di speranza. E insieme il desiderio di concentrare la tua vita in un sugo di pari sapore.

Parola pubblicata il 28 Maggio 2023

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