Idea
Le parole e le cose
i-dè-a
Significato Contenuto, entità mentale; pensiero astratto; contenuto caratterizzante, dottrina; conoscenza elementare, opinione; proposito, prospettiva; trovata; impressione
Etimologia dal latino idea, prestito dal greco idéa, da idêin ‘vedere’.
Parola pubblicata il 21 Dicembre 2021
Le parole e le cose - con Salvatore Congiu
I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.
Come Giorgio Gaber nel 1972, anche noi guardiamo alle idee come a qualcosa di astratto, che non si può vedere, toccare né sentire; e ciò vale per tutte le accezioni di idea, da quella basilare di rappresentazione mentale, concetto, a quelle derivate: timore, sentore (ho idea che tra un po’ pioverà); prospettiva (non mi sorride l’idea di restare bloccato qui); opinione, parere (la mia idea sulla questione è…); suggerimento, proposta (la tua idea è stata bocciata); invenzione, trovata (bell’idea!); proposito, intenzione (avevo una mezza idea di…); valore, ideale a cui aspirare (lottare, morire per un’idea). Quest’ultima accezione, però, apre una biforcazione decisiva: da una parte, ciò che è ideale non è reale (la donna e l’uomo ideali non sono di questo mondo); dall’altra, possiamo ritenere irreale ciò per cui vale la pena di vivere e morire? Andiamo a conoscere l’uomo che ha sconvolto la filosofia sostenendo che le idee siano più reali del reale.
Platone (428/427 – 348/347 a.C.) non è stato il primo filosofo ad usare la parola ‘idea’, ma è colui che ne ha fatto il perno della propria filosofia. In greco idéa e êidos significavano innanzitutto l’aspetto, la forma esteriore (derivando dalla radice indoeuropea ricostruita ueid-, vedere), ma poi denotarono anche la forma interiore, la sostanza, l’essenza delle cose: insomma, il loro vero essere. Il passaggio non è sorprendente, considerato che in greco il perfetto del verbo che significava ‘vedere’ (orào) aveva il senso presente di ‘conoscere, sapere’ (ho visto, quindi so), e che la conoscenza era concepita essenzialmente come visione: infatti la filosofia era appunto filo-sofia, amore per il sapere, tensione, eros che – a partire dall’attrazione per i bei corpi – si eleva al bello-buono-vero universale; ma la sofia piena era concessa solo agli dei, in virtù di una visione profetica (com’è evidente in Apollo, dio della conoscenza e della profezia). Tuttavia i sensi, vista compresa, ci ingannano, testimoniandoci una realtà mutevole e spesso contraddittoria, che non offre certezze: il giovane si fa vecchio, il bello diventa brutto, le virtù a volte si tramutano in vizi; e poi, definiamo ‘belle’ le cose più diverse – un uomo, un’azione, un oggetto.
Di questi fenomeni vari e mutevoli, secondo Platone, non possiamo avere autentica scienza (epistème), bensì solo opinione (doxa). Un sapere fondato, assoluto, può darsi solamente di ciò che è stabile, immutabile, eterno – la virtù in sé, il bello in sé, ossia l’idea di virtù, l’idea di bello – che è precisamente ciò per cui le singole cose belle o virtuose sono tali: le idee infatti sono i modelli eterni e perfetti, le forme pure intelligibili (cioè coglibili solo dall’intelletto) delle cose esistenti, che ne sono imitazione più o meno imperfetta. Anche per Aristotele, allievo di Platone, l’oggetto della scienza dev’essere ciò che è stabile e universale – la sostanza, l’essenza delle cose; ma lo specifico platonico sta nell’aver concepito le idee non come forme immanenti, intimamente connesse alle cose, bensì come separate rispetto al mondo sensibile: queste forme pure, secondo Platone, risiedono in una sfera da lui chiamata ‘mondo iperuranio’, attingibile dall’uomo in quanto l’anima, prima di incarnarsi e dimenticare, vi risiedeva, stando a contatto con le idee. Di conseguenza, l’apprendere non è che un ricordare (anámnesis, reminiscenza).
Ma quand’è che idea ha assunto il significato che ha oggi? Nel Seicento: fu Cartesio il primo ad intendere le idee come semplici contenuti del pensiero; poi John Locke si spinse oltre, arrivando a capovolgere la prospettiva platonica: le idee derivano dall’esperienza sensibile, sono una reazione della mente alle cose percepite, non la loro causa. Ecco quindi che, da ciò che vi è di più oggettivo – astratto eppure più vero (dotato di maggior spessore ontologico) del concreto –, le idee diventano un prodotto della soggettività. E a proposito di capovolgimenti, nell’Ottocento arriva un altro ribaltone non da poco: per Hegel, l’idea è proprio il superamento della frattura tra soggettività e oggettività, l’identità di finito e infinito, soggetto e oggetto, Spirito e Natura.
Insomma, con buona pace di Gaber e di tutti noi, in casa Hegel l’idea si mangia eccome. Ma questa è una storia che racconteremo un’altra volta.