I nomi geografici dell’Oriente
Tra Estremo e Medio Oriente, dall’est al levante, un excursus nella terminologia geografica che condiziona la nostra percezione della storia e delle culture, per provare a metterla in prospettiva e capire meglio i nostri pensieri.
‘Medio Oriente’, o ‘Medioriente’, è un’espressione che popola i titoli dei quotidiani, le bocche dei giornalisti televisivi, i libri di storia contemporanea. Si tratta di un calco dall’inglese ‘Middle East’ e nel tempo ha scalzato l’espressione ‘Vicino Oriente’. Così come ‘Estremo Oriente’, essa indica una regione geografica vasta, dai contorni nebulosi, in cui vivono molti popoli di lingue, etnie e culture diverse.
L'invenzione e il paradosso del 'Medio Oriente'
Il Medioriente include i paesi che vanno dal Marocco al Pakistan e dalla Turchia al Sudan. Non tutti i paesi mediorientali sono a maggioranza musulmana (pensate al Libano e a Israele) e non tutti sono di etnia araba (ad esempio il Marocco è a maggioranza berbera, la Turchia è a maggioranza turca con una minoranza curda, l’Iran è di etnia farsi).
Interessante notare che, sebbene facciano parte dei paesi che sono normalmente definiti mediorientali, le nazioni del maghreb come Marocco, Tunisia, Algeria e Libia si trovano in realtà a sud, sud-ovest, se prendiamo come punto di riferimento l’Italia. Anzi, il Marocco si trova ben più a ovest di molti paesi europei.
E se ciò non è sufficiente per svelare il paradosso dell’espressione ‘Medioriente’, definita da molti storici e storiografi come ‘invenzione dell’Europa’, allora bisogna prendere la parola maghreb e analizzarne il significato: luogo dove tramonta il sole. Cioè occidente. Che si contrappone al mashreq, ovvero luogo dove si leva sole, parola che tradizionalmente designa i paesi inclusi tra l’Egitto e il Golfo Persico.
L'Asia è al di là del mar Egeo
Oriente, est, levante… tante parole per indicare il punto da cui sorge il sole, ciascuna con un’accezione diversa, ma tutte accomunate da un concetto: mettere una parte di mondo al centro e l’altra parte a est di questa. Non è strano né politicamente scorretto se osserviamo ciò attraverso il prisma della lingua e della storia: le parole che indicano i luoghi e le aree dello spazio hanno sempre bisogno di un punto di riferimento fisso, preso come campione, come base della relazione di spazio. Il concetto è semplice: sopra il tavolo, sotto il pergolato, fuori Atene, al di là della Tracia, a nord di Roma, a ovest di Johannesburg. In epoche in cui le potenze europee spadroneggiavano e monopolizzavano traffici e territori, non stupisce che fosse l’Europa, il Vecchio Mondo, a costituire il centro geografico delle carte e delle parole.
Ma non dobbiamo dimenticare che questo sistema di pensiero lo abbiamo ereditato dagli antichi greci, che chiamavano Europa tutto quello che era al di qua dell’Egeo, e Asia tutto quello che era al di là. Semplice, eppure indicativo di come la distinzione tra oriente e occidente sia antica e ancorata nella nostra memoria storica e nelle nostre categorie del pensiero con radici millenarie.
L'est è sovietico, il levante è salmastro
E se le parole sono il vestito dei pensieri, il ‘luogo al di là dell’Egeo’ si ricopre di differenti abiti a seconda del termine che si sceglie di utilizzare: 'est' lo usiamo per indicare le nazioni che un tempo facevano parte del cosiddetto ‘blocco sovietico’. Perché? Forse a causa di una secchezza fonetica, una brevitas di pronuncia che racchiude in sé lo schiocco di tacchi dei militari dell’Armata Rossa? Chi lo sa, ma evocare l’Europa dell’est dà immediatezza e attualità allo spazio, fa pensare ad un itinerario da interrail tra Praga, Budapest e Kiev, o forse al Muro di Berlino e alla Cortina di Ferro, mentre se si parla di Europa orientale la testa vaga più verso le lotte di confine tra la Russia zarista e l’Impero Ottomano, tra i quali si incuneava l’Impero Asburgico con le sue province più remote.
Il caso di levante, cioè il luogo da cui si leva il sole, invece è più saporito, più salmastro: ha quel pizzico di malizia, di pirateria e di furberia cagliostresca (levantina!) che potremmo applicare anche a noi italiani, dongiovanneschi e sapienti bagatti emigrati ai quattro angoli del mondo, ponente compreso.
L'Oriente, dai viaggi di Marco Polo ai dipinti di Ingres
Oriente (dal latino oriri, sorgere, contrapposto a occidente, da occidere, cioè cadere, tramontare), invece, è tutta un’altra storia: quando è Estremo ecco che ci pitturiamo nella mente, con inchiostro di china, le immagini del teatro kabuki e nō, le meraviglie della Città Proibita, i segreti della giungla cambogiana, le pietre preziose del Myanmar, come se accompagnassimo Marco Polo alla corte del Khan in Catai, o se stessimo leggendo uno dei primissimi e molto discussi albi a fumetto di Tin Tin, in cui lo straniero e l’esotico son sempre raffigurati in modo condiscendente e con tratti di arretratezza folcloristica, per usare un eufemismo.
Quando è Medio, o Vicino, la dicotomia è netta: da una parte c’è l’immaginario nutrito dall’orientalismo sette-ottocentesco anglo-francese, frutto della politica colonialista delle due potenze europee; vediamo gli harem pieni di odalische seducenti, gli hammam vaporosi e i favolosi tappeti arabescati affollare i dipinti di Ingres, Jean-Léon Gérôme e Lecomte du Nouÿ, emblemi di quella corrente artistica e antropologica tanto criticata dal teorico e saggista Edward Said.
Forse che il film d’animazione della Disney ‘Aladdin’ ha contribuito a rinverdire questo luogo comune? Non è da escludere. Quando uscì, negli anni ’90, furono numerose le critiche che lo definivano un tuffo nell’orientalismo più semplicistico.
Dall’altra parte invece ci sono la kufiyya rossa sbandierata fieramente in antitesi al vessillo bianco celeste israeliano, il regime degli ayatollah, le pietre scagliate dai bambini durante l’intifada, l’invasione del Kuwait, la statua di Saddam Hussein che cade a Baghdad, il dramma della Siria, la fame nello Yemen. Fatti storici che le attuali generazioni hanno vissuto o che stanno vivendo, ferite dell’umanità ancora aperte e purulente con cui dobbiamo fare i conti.
Interessante notare che, a differenza di quanto avviene con la dicitura Medioriente, l’Estremo Oriente non evoca mai la guerra di Corea, la guerra del Vietnam o la rivoluzione maoista, tutti fatti storici avvenuti durante il secolo scorso. Accenti e sfumature conferite alle parole dall’uso che se ne fa nel tempo, eredità culturali, forse influenzate dalla distanza, chi lo sa.
Capovolgere la cartina geografica
Il tempo e lo spazio sono due categorie della percezione così soggettive che analizzare le parole usate per descriverle dà uno scorcio esaustivo sul sistema di pensiero, sulle relazioni e i rapporti di forza che i popoli hanno intessuto tra loro nei secoli. La storia parla un linguaggio che appartiene a chi l’ha vissuta e soprattutto, come recita l’adagio, a chi ha vinto. Ma vale sempre la pena capovolgere un po’ la cartina geografica, il punteggio o la scala di valori a cui si fa riferimento… per vedere l’effetto che fa.
E magari pensarci un po’ su.
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