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Le parole della magia (parte 2)

Dall’elisir di lunga vita agli arcani dei Tarocchi, ecco la seconda parte del nostro lungo viaggio negli etimi e nei misteri di parole magiche e formule incantate

Nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts si studiano materie e specialità delle arti magiche più disparate: Harry Potter eccelle in Difesa Contro le Arti Oscure, Neville Paciock (Longbottom nella versione originale) è un disastro in Pozioni ma un genio in Erbologia, Hermione Granger è brava in tutte le materie, la difficilissima Trasfigurazione inclusa.

Questo è il secondo articolo sulle parole della magia. Clicca qua per leggere la prima parte.

Decotti, infusi e rimescolii di calderoni

Per citare il professor Piton (Snape) quando descrive la materia Pozioni ne ‘La pietra filosofale’: “Poiché qui non si agita insulsamente la bacchetta, molti di voi stenteranno a credere che si tratti di magia.”

Eppure, sempre per usare le sue parole, imparare a far pozioni significa “imbottigliare la fama, la gloria, addirittura la morte…”. Ormai il termine pozione si lega solo ed esclusivamente all’ambito della magia, forse grazie all’Ariosto che la usa per indicare il filtro magico bevuto da Isotta, citata nel XXXII canto dell’Orlando Furioso.

Viene dal verbo latino potare, cioè 'bere', e si attaglia a liquidi medicamentosi, sciroppi della salute, elisir di guarigione. Va detto che, nel passato, il fatto di sopravvivere ad una malattia e di non lasciarci le penne era visto come un vero prodigio, una magia. Se la pozione ingerita aveva vinto il morbo, dunque essa doveva aver per forza qualcosa di incantato.

Ma c’è un 'ma' che forse è più individuabile se leggiamo la parola in inglese: potion. La sua affinità etimologica con poison, cioè veleno, fa pensare a quell’ambivalenza eloquentissima che si trova nel sostantivo greco phàrmakon, il quale significa sia medicina che veleno. Ogni parola greca, diceva la mia professoressa del liceo, vuol dire qualcosa ed anche il suo contrario. In questo caso è più che vero: ogni sostanza, se somministrata nelle giuste dosi, può guarire, così come, se ingerita scriteriatamente, può uccidere.

Dalla pozione all’oro zecchino il passo (non) è breve

Se le pozioni magiche servono a far innamorare, ad aumentare smisuratamente la forza per battersi contro Giulio Cesare o a trasformarsi in qualcun o qualcos’altro, il più nobile e ambito filtro magico di sempre, l’elisir di lunga vita, è invece frutto di una lunga ricerca che si dipana in un percorso iniziatico ed esoterico: l’alchimia, dall’arabo al-kimiya.

La storia di questa parola riflette la storia del suo significato, perché, come qualche altro esempio nella nostra lingua, si tratta di un arabismo che ha origine greca, guarda guarda proprio come la tradizione alchemica, che nasce in Grecia ed è ripresa con grande impeto dagli arabi forse grazie a quel centro culturale sesquipedale, fra i più importanti dell storia umana, che fu Alessandria d’Egitto.

Kimiya è infatti l’arabizzazione della parola greca chemèia, che vuol dire ‘chimica’, ma anche ‘fusione’. Gettiamo nel calderone anche il fatto che, oltre alla produzione dell’elisir di lunga vita, l’alchimia fosse pure la ricerca del procedimento che trasformava i metalli ignobili in oro, e allora si spiegano la complessità delle infinite interpretazioni allegoriche che se ne possono fare, applicabili alla trasformazione della persona, al raggiungimento di una sapienza superiore, ottenuta grazie ad un percorso interiore difficile che porta l’iniziato dall’essere un comune mortale (metallo ignobile) ad un saggio illuminato (oro puro). 

Per maggiori informazioni dare un’occhiata ai meravigliosi Rotoli Ripley, pergamene lunghe più di cinque metri, di autori sconosciuti, associate ai versi vergati dall’alchimista inglese George Ripley, vissuto nel XV secolo: esse (ve ne sono oggi 23 copie) pullulano di illustrazioni allegoriche che spiegano il procedimento necessario alla creazione della pietra filosofale e all’ottenimento dell’oro (o della saggezza).

Rotoli Ripple

Chiudi gli occhi, non incrociare né gambe né braccia e scegli una carta dal mazzo…

Ma queste son raffinatezze, è roba sofisticata, per veri savi, per Magi, per iniziati. Se invece volessimo un approccio più immediato, con la magia? Qualcosa che chiunque può trovare nel proprio quartiere o nel proprio paese, se sa bene a chi rivolgersi? Allora dovremmo gettare un occhio ai Tarocchi, o Trionfi, lo strumento di veggenza del futuro forse più misterioso e affascinante che esista (sì, perché scrutare le interiora degli animali come gli aruspici non è molto seducente).

Tarocco, oltre ad essere una variante di arancia, significa anche oggetto contraffatto: le borse tarocche di Louis Vuitton o i Rolex taroccati sono spesso in bella mostra sui ponti romani, adagiati su teli bianchi che i venditori abusivi possono velocemente nascondere acciuffando le quattro cocche e defilandosi velocemente tra la folla. 

Alla base i Tarocchi sono un vero e proprio gioco, molto conosciuto in Francia, praticato in modi diversi anche in Italia: vale la pena menzionare il Tarocchino Bolognese e quello Siciliano, così come un cugino fiorentino, il Gioco delle Minchiate. Nomen omen, si suole dire, e forse proprio nelle Minchiate fiorentine sta il legame tra i Tarocchi e il taroccare.

Di mazzi ne esistono moltissimi, ognuno con la sua storia particolare e affascinante: i Tarocchi Etteilla, i Tarocchi Brera-Brambilla, il mazzo Visconti-Sforza e i Tarocchi di Marsiglia, quelli comunemente usati per la divinazione.

L’origine del nome Tarocco resta un mistero. Molti nel tempo si son dati un gran daffare a trovare un’etimologia legata al pantheon egizio, ai geroglifici o alla cabbala. Per quanto tutte queste ipotesi possano essere suggestive ed evocare boudoir drappeggiati di velluti porpora, avviluppati nell’aroma dell’incenso orientale e illuminati dalla luce soffusa delle candele, gli accademici restano fermi sull’etimo incerto della parola Tarocco.


Le parole della magia, come abbiamo visto, sono misteriose e spesso opalescenti: rifrangono la luce con giochi prismatici attraverso cui si possono osservare le storie dei popoli e delle culture da punti di vista diversi e sorprendenti. Le vie attraverso cui esse sono giunte fino a noi sono così intricate e ricche di inaspettati svincoli che analizzarle ed approfondirle non fa altro che farci sprofondare ancor più nelle vorticose voragini della lingua e del comunicare umano.

È il caso di dire che le parole della magia ci fanno davvero riscoprire la magia delle parole.

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