Arroccare
ar-roc-cà-re (io ar-ròc-co)
Significato Negli scacchi, eseguire l’arrocco, mossa che copre il re con la torre; mettere al sicuro; rinchiudere, rintanare; chiudere
Etimologia da rocco ‘torre degli scacchi’, forse adattamento dall’arabo ruḫḫ, prestito dal persiano ruḫ, col significato di ‘carro da guerra’, forse adattamento del persiano rōkh, elefante che porta sulla schiena una torretta con arcieri.
- «Sei sempre arroccato sulle tue posizioni?»
Parola pubblicata il 29 Marzo 2025
Se mi arrocco sulle mie posizioni, figuratamente mi rinchiudo in un’alta rocca, inaccessibile e inespugnabile. O no?
Be’, no. L’etimologia di questo verbo, arroccare o arroccarsi, parte dal gioco degli scacchi e coinvolge il bastone del del vescovo — mentre con rocche e roccaforti, all’inizio, non c’entra. E se parte col gioco degli scacchi, il cui nome nasce dal persiano šah, ‘re’, possiamo immaginare bene di dover cominciare proprio da un termine persiano.
Il gioco degli scacchi ha corso in lungo e in largo per il mondo; si è portato dietro regole chiare, ma i nomi originari dei pezzi di volta in volta è capitato subissero una sorta di pareidolia verbale: su ogni nuovo lido il nome originario poteva essere orecchiato in maniera diversa, associando al suono una figura militare nota, dell’ordine locale. Lo abbiamo visto con l’alfiere, alfiere da noi e che però era l’arabo al-fil, l’elefante; lo vediamo oggi col rocco.
Il rocco è il nome antico della torre degli scacchi. Certo, è stato evidentemente modellato sopra il profilo della rocca, alta fortezza che domina rilievi dirupati e strategici. Ma viene da altro: alcune fonti segnalano che ‘rocco’ è un adattamento dall’arabo ruḫḫ, prestito dal persiano ruḫ, col significato di ‘carro da guerra’. Altre invece lo dicono derivato diretto del persiano rōkh, l’elefante che porta sulla schiena una torretta con arcieri. Entrambe figure capaci di spaziare portando colpi in lungo e in largo, come è in effetti capace di fare il rocco, la torre degli scacchi, che si muove lungo righe e colonne.
Ora, negli scacchi si muove solo un pezzo alla volta a ogni turno — con un’unica eccezione, che è giusto l’arrocco.
Se lo spazio fra re e torre è libero e sicuro (sgombro da altri pezzi e non attaccato), se il re non si trova sotto scacco (cioè sotto l’attacco di un pezzo nemico), e se non sono stati mossi in precedenza, allora re e torre possono essere mossi simultaneamente con l’arrocco.
Il re si sposta di due caselle (non una, anche questo caso unico) verso la torre, e la torre gli si pone sul fianco opposto, verso il centro della scacchiera. Esistono due tipi di arrocchi, corto sul lato del re e lungo sul lato della regina (segnalati rispettivamente nelle trascrizioni delle mosse come 0-0 e 0-0-0), ma non impantaniamoci in considerazioni tattiche riguardo alle differenze fra questi due arrocchi, per quanto gagliarde. Diciamo solo quello che ci serve a fini linguistici: l’arrocco ha l’effetto di metter il re in una posizione coperta, protetta, chiusa, dietro ai pedoni rimasti a lato e spalleggiato dalla torre. È da questo risultato strategico che scaturiscono i significati estesi dell’arroccare e dell’arroccarsi.
L’arroccare è un mettere al sicuro con sfumature che hanno una profonda intelligenza della situazione: qualcuno si leva dalla mischia e dal rischio, si rintana... si rinchiude.
In effetti anche negli scacchi l’arrocco può essere pericoloso: un attacco ben congegnato e il re fa la fine del topo — che sarebbe più facile scongiurare in campo aperto. Così possiamo parlare concretamente di come nella tal battaglia i difensori si arroccarono nel castello sul fiume, impedendo il passo dal ponte; possiamo parlare di come la celebrità che non vuole rilasciare dichiarazioni sullo scandalo si sia arroccata in casa; possiamo parlare di come l’amica incalzata si arrocchi nel silenzio; possiamo parlare di come l’amministrazione sia arroccata su un’idea retriva e fallimentare.
Per quanto quella inscenata dagli scacchi sia una battaglia, l’arroccarsi è meno battagliero del trincerarsi — l’immagine è più mediata, meno direttamente guerresca. E adombra un genere di abbandono della battaglia, una chiusura che rifiuta il confronto, che allontana. Perché il gioco di echi si conserva, e il rocco non può non evocare anche la distanza soprelevata e inaccessibile della rocca — mentre la trincea ha l’aria di una bellicosa sfida da raccogliere. E un discorso analogo si potrebbe fare sull’asserragliarsi, che ha il coltello fra i denti, mentre il barricarsi ha un che di fortunoso, il rintanarsi dei tratti perfino beati.
Una parola di intensa efficacia, che intreccia forza e debolezza dell’acquisto di una forte posizione defilata, scaturendo da nomi antichi per antichi pezzi di un antico gioco.
Un’ultima nota: il rocco è anche il bastone, il pastorale del vescovo. La sua curva può avere sulla sommità una croce, che sormonta la figura... di una torre.