Dittologia
Le figure retoriche sono una bomba
dit-to-lo-gì-a
Significato Figura retorica che consiste nell’accostamento di termini sinonimici per veicolare un unico concetto
Etimologia dal greco dittologhía ‘ripetizione di parole’, composto da dittós ‘doppio’ e -loghía, derivato di lógos ‘parola’.
Parola pubblicata il 23 Febbraio 2018
Le figure retoriche sono una bomba - con Mauro Aresu
Le figure retoriche pervadono la lingua e il pensiero, ad ogni livello. Con Mauro Aresu, giovane studente di lettere classiche, iniziamo un ciclo di parole rigoroso e scanzonato proprio sulle figure retoriche.
Molto bianchi, erano i capelli del vecchierel canuto e bianco del componimento del Petrarca battezzato dal primo verso – “Movesi ‘l vecchierel canuto e bianco”, appunto. Anzi, più che molto bianchi, potremmo dire bianchi bianchi. Insomma, il succo è questo: ciò che il poeta aretino ci vuole far capire è che questo vecchino ha i capelli davvero bianchi. Per farlo ha usato una dittologia, che in questo caso è composta da due aggettivi (‘canuto’ e ‘bianco’), sostanzialmente sinonimi; seguendo il suo esempio, la dittologia l’ho usata anche io, formando il superlativo dell’aggettivo ‘bianco’ ripetendolo nella sua forma positiva.
A che scopo, questa ridondanza? Semplice: come tutte le iterazioni, serve a ribadire il concetto, sottolinearlo, metterlo in evidenza per assicurarsi che il messaggio arrivi forte e chiaro. Ecco il motivo dei passi tardi e lenti, sempre petrarcheschi, con cui l’autore va i più deserti campi mesurando nella lirica “Solo et pensoso”; son passi non solo lenti, ma di più: trascinati e ponderati tutti quanti, uno per uno.
Per quanto – oggettivamente – si tratti di una sovrabbondanza, tuttavia i nostri occhi e orecchie non ne sono infastiditi, perché – altrettanto oggettivamente – si rendono conto dell’apparentemente paradossale necessità di questa sovrabbondanza. La lingua è economica e tende a stringere, depennando ciò che non è strettamente necessario: perché sentiamo dire più spesso “se lo vedevo lo salutavo” di “se lo avessi visto lo avrei salutato” (e non rabbrividite, lo fece anche il Manzoni)? Non per colpa di un’intrinseca complessità del periodo ipotetico, ma grazie alla simmetria della forma scorretta, cui il parlante tende per economizzare il discorso. Questa economia però non colpisce la dittologia, non solo per via del significato, percepito come diverso rispetto a quello percepito con l’uso di un solo termine, ma anche perché la lingua quotidiana è piena zeppa di frasi fatte sotto forma di dittologie: a parte l’esempio di poche parole fa, tutti sappiamo che principe e principessa – quelli che c’erano una volta – hanno poi vissuto, dopo tutte le peripezie, felici e contenti; le cose possiamo farle come ci pare e piace; chi litiga con uno grande e grosso non è detto che poi ne esca vivo e vegeto. Notate per caso una vecchia conoscenza? Gli ultimi tre esempi, oltre a essere dittologie, sono anche allitterazioni: non solo si son legate due parole per esprimere un unico concetto, ma sono unite anche dal punto di vista fonico.
In sintesi: quando due termini (non solo aggettivi) coordinati veicolano un unico concetto, abbiamo una dittologia, e in termini retorici definiamo così anche la ripetizione dello stesso identico termine (in questo caso un aggettivo o un avverbio: piccolo piccolo, piano piano) per formarne il superlativo. Facile facile!