Plastica

plà-sti-ca

Significato Sostanza in grado di acquisire e conservare qualsiasi forma; arte del modellare

Etimologia dal greco: plassein formare, plasmare (che ha la stessa origine).

Parola che quotidianamente si esaurisce nell’indicazione del materiale, ma che invece ha dei significati ricchissimi.

Ciò che è plastico è ciò che riceve una forma e la mantiene: eccolo, occupa uno spazio - e da questa semplice constatazione trae la sua forza statuaria, una necessaria relazione fra il plastico e il posto in cui è collocato. Inoltre tocca i nostri sensi con una grande connotazione di vitalità: perché dalle nostre mani di bambini abbiamo in retaggio il ricordo tattile, prima ancora che del pongo o di altre plastiche sintetiche modellabili, del fango, della terra che, impiastricciata d’acqua, levata con le mani da una buca argillosa, si modellava in forme semplici sotto la nostra debole e giocosa azione - e i più fortunati hanno anche avuto il privilegio di modellare la creta (o lo fanno tutt’ora) -, esperienza che si ritrova puntualmente per tutti, beata e beota, ogni volta che nevica. Nevvero?

L’attribuzione plastica riguarda anche il marmo, il bronzo, riguarda anche gli edifici con la loro imponente presenza, con il loro porsi nello spazio: in questo modo rubano un attributo di vita, sostanze inerti e petrigne ma accolte nel novero dei plasmati come fossero terra fertile, cera, come se potessero partecipare del mito della creazione dall’argilla.

La sacralità ieratica di ciò che è plastico - genuina magia con cui l’uomo modifica il mondo - è purtroppo in declino: il plastificato, il plasticoso, la chirurgia plastica nei suoi peggiori risvolti contribuiscono al costante abbrutimento di un attributo che invece ha grande nobiltà e meriterebbe di essere più spesso usato nei suoi sensi più belli - dalla posa plastica dell’attore alla plastica immensità delle navate gotiche.

Parola pubblicata il 21 Settembre 2011