Reciprocità

re-ci-pro-ci-tà

Etimologia dal latino: composto di recus indietro e procus avanti. Ciò che torna.

L’autoreferenzialità pare sempre una sicurezza. Quando si è dei solidi singoli autoverticali sporgersi verso gli altri sembra una perdita di stabilità. Ma per quanto un filo possa essere resistente, le sue capacità sono nulla di fronte a quelle del tessuto.

La reciprocità inizia con un munifico atto di fede. Non ci sono assicurazioni né garanzie che quel che diamo torni. Ma se non importa, se si sceglie comunque di diventare per primi ponti-verso, allora si dà alla reciprocità la possibilità di nascere e vivere: la torre diventa una rete.

Chiaramente la reciprocità agisce sui piani più diversi: si parte da quello materiale dei doni. Ricordo la spiegazione di un boscimano di etnia !Kung circa “Hxaro”, la loro tradizione di reciprocità. “Hxaro è quando prendo un oggetto di valore e te lo cedo. In seguito, molto più tardi, quando tu trovi qualcosa di buono, me lo dai. Quando poi io trovo qualcos’altro di buono, te lo do - e così trascorriamo gli anni insieme”. La reciprocità è la madre della pace.

Si arriva poi fino a piani spirituali di una comunione di sentimenti e intenti fino alla vertigine della cura vicendevole del progetto dell’altro.

Dopotutto è vero: se c’è un solo ingenuo che crede nella reciprocità subirà soprusi e delusioni. Ma se di ingenui che ci credono ce ne sono due, la vera reciprocità, con tutta la sua forza, verrà ad esistere.

Parola pubblicata il 24 Ottobre 2010