Sisifeo

si-sì-fe-o

Significato Relativo a Sisifo; di grande e vana fatica

Etimologia dal nome di Sisifo primo re di Corinto, che nel mito, dopo morto, viene condannato a spingere in eterno su per il fianco di un monte una roccia che, quasi raggiunta la cima, ricade sempre a valle.

Il riferimento al mito di Sisifo, con l’aggettivo che ci qualifica ciò che gli è proprio, ci racconta di una fatica tanto immensa quanto fine a sé stessa: ogni volta che Sisifo riusciva a spingere il suo masso fino in cima al monte, quello ricadeva di nuovo giù - e lui doveva ricominciare da capo a spingere, senza soluzione di questa eterna condanna.

Così il sisifeo diventa ciò che viene fatto con forza, intenzione e intenso affanno, e che pure non raggiungerà mai il traguardo. Se da un lato siamo abituati a vedere uno sforzo del genere come vuoto e tragico, dall’altro è un’importante cifra della realtà, più positiva di quanto si pensi.

Se sarà sisifeo il tentativo di mondare il mondo dalle mafie e dalle corruzioni, dall’altro il sisifeo sforzo di migliorarsi migliorerà concretamente la vita; se il sisifeo progredire delle dottrine scientifiche tornerà di volta in volta a rimettere in discussione certezze solide, a un tempo migliorerà veramente il benessere delle persone; e se in generale, nell’impegno sisifeo, il risultato definitivo non arriva mai, forse non importa, perché come diceva Camus, “anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo - bisogna immaginare Sisifo felice.”

Nota mitologica extra: chi era Sisifo?

Sisifo era un fetente, forse il personaggio più sfacciato e meschino della mitologia greca: opportunista, doppiogiochista e ricattatore. Ma chiaramente anche astutissimo e scaltro.

Dopo alcuni sozzissimi giochi di potere divenne re di Corinto.

Quando la figlia del dio fluviale Asopo fu rapita da Zeus, Sisifo, prima di rivelare al preoccupatissimo padre il nome del rapitore (che aveva visto), volle in cambio una fonte perenne che dissetasse le sue aride terre. Ebbe la sorgente e parlò. E ovviamente Zeus, beccato con la bella rapita, se la prese a morte con quel Sisifo che lo aveva denunciato.

Se c’è una cosa che si apprende dalla mitologia greca è che è mooolto meglio non contrariare Zeus. Il quale, infatti, chiese al fratello Ade di mandare Tanatos, la morte, a prendere quel pezzo di fango di Sisifo.

Ma il furbo Sisifo, vedendosi arrivare a casa Tanatos, fece venire del buon vino e lo invitò innanzitutto a bere. C’è sempre tempo per un bicchiere, no? Tanto buono era quel vino che Tanatos si sbronzò di brutto, e Sisifo lo imprigionò.

In quel mentre Ares, che da buon dio della guerra se ne stava a battagliare, si accorse che la gente che lui stesso frullava sul campo non moriva più. Al che lui pure s’inalberò - perché se a Zeus non devi toccare il piacere delle belle ragazze, ad Ares non devi toccare il piacere del macello. Si presentò quindi a casa di Sisifo nero in volto, liberò Tanatos e scortò a calci Sisifo nel Tartaro infernale.

Ovviamente Sisifo non si era però fatto trovare con le braghe calate: aveva dato ordine a sua moglie di non seppellire il suo corpo. E suvvia, i riti funebri non si negano a nessuno! Quindi chiese di poter tornare fra i vivi giusto il tempo di dire alla moglie “Ehi, amore, fammi un funerale come si deve, please”. Gli dei degli inferi acconsentirono ma ovviamente Sisifo scappò, latitando peggio di Provenzano.

Poi vuoi che Ermes lo riuscì a catturare, vuoi che la morte naturale arriva per tutti, Sisifo discese definitivamente negli inferi. Zeus e Ade avevano avuto tutto il tempo per pensare una pena adeguata.

E a quanto ci narra il mito Sisifo è ancora lì a spingere - ma forse non gliene frega più tanto. Ad oggi ci ha due braccia che a confronto Rambo è una ballerina dell’Operà.

Parola pubblicata il 02 Marzo 2012