Circonflesso
cir-con-flès-so
Significato Piegato ad arco o a cerchio; in riferimento a un accento, segno grafico (^) posto sopra la lettera, che in molte lingue dà indicazioni specie su durata e apertura di vocali
Etimologia voce dotta recuperata dal latino circumflèctere ‘piegare intorno’, composto di circum ‘intorno’ e flèctere ‘piegare’.
Parola pubblicata il 19 Maggio 2022
Sostiamo un momento nella grazia di una parola come questa, che con la premura di un registro maggiore ci presenta nientemeno che una flessione ad arco, o perfino a cerchio.
Possiamo descrivere le doghe circonflesse della botte, parlare del tornante circonflesso intorno a uno sperone di roccia, del tronco circonflesso che fa da architrave nell’antica casa nel bosco, del profilo circonflesso di un ingresso hobbit o di un ombelico che sembra disegnato.
Già il ‘flesso’ da solo ha un’aura più sostenuta della ‘piega’ e del ‘piegato’, e si presta a un ventaglio minore di descrizioni — è un piegato meno a falda, meno crollato su sé stesso, e adatto a contesti in cui non stoni una minuzia nella descrizione di una convessità quasi ingegneristica, quasi pittorica. Ma quel ‘circon-’, che troviamo già chiaro nel circumflèctere latino, ci dà il senso di lavoro della piega, del volgere a cerchio, in cerchio: è una flessione che abbraccia, che dà una certa impressione plastica, scultorea, che arriva anche alla tornitura.
In questa veste è una parola che si fa notare: non è inaccessibile, nemmeno al primo casuale incontro, e di circonflessioni da nominare è pieno il mondo — forse ciò che la limita è la necessità di una volontà descrittiva così attenta. Ma non è la sua unica veste, anzi. Non abbiamo ancora parlato del vero protagonista del discorso sul circonflesso, che statisticamente comprende la stragrande maggioranza degli usi di questo aggettivo: l’accento circonflesso.
Trattasi dell’accento fatto a tetto (^), che in italiano troviamo su certe vocali. Beninteso, nella nostra lingua l’uso dell’accento circonflesso è elegante ma recessivo oltre ogni dire: ci basti intendere che la sua vita quale segno che, in certi esoterici casi, accorcia una vocale raddoppiata (principî invece di principii, plurale di principio, genî invece di genii, plurale di genio), è la rimanenza di un’attitudine letteraria più ampia ma comunque circoscritta: indicava una maggiore durata di una vocale in concomitanza di una sincope, la caduta di una sillaba, non inusuale in un certo numero di parole specie per esigenze di metrica poetica: ad esempio nei tempi che fûro si poteva narrare di quanto il giovine e la pulzella si amâro e di come i loro bei giorni insieme finîro perché un altro giovine e un’altra pulzella trovâro.
In altre lingue ha avuto ruoli e fortune differenti. In francese, nonostante un progressivo ridimensionamento, è un segno molto presente: agisce sulla durata di certe vocali e segnala alcune pronunce particolari — ma ha anche un rilievo etimologico, dato che in molti casi rivela la caduta di una lettera prossima, spesso una ‘s’. Ad esempio ‘finestra’, dal latino fenestra, si scrive fenêtre, e la ‘s’ dell’antico fenestre è stata defenestrata — e dov’è finita quella del ‘castello’ che doveva essere in château, seguendo il latino castrum e quindi gli antichi esiti di chastel/chasteau? L’accento circonflesso è volentieri la lapide di queste lettere.
In genovese succede qualcosa di analogo, ma una ‘û’ non solo è più lunga di una ‘u’, è anche più acuta, avvicinandone il suono alla y lunga — pensiamo al ritornello della canzone 'Â çimma di Fabrizio de André, che ha molto scritto e cantato in genovese: Çé serén, tèra scûa / Carne ténia nu fâte néigra / Nu turnâ dûa (Cielo sereno, terra scura / Carne tenera non farti nera / Non tornare dura).
Ma ha davvero avuto una versatilità notevole in tante lingue, che qui non indaghiamo oltre. Piuttosto, notiamo un’ultima cosa bizzarra.
L’accento circonflesso non è circonflesso. È uno spigolaccio.