Divelto

di-vèl-to

Significato Sradicato, strappato con violenza

Etimologia voce dotta recuperata dal latino divèllere, derivato di vèllere ‘strappare’ col prefisso dis- che indica separazione.

È un aggettivo, un participio passato che fa parte di tanti resoconti, racconti di cronaca. Sarebbe organico alla coniugazione del verbo ‘divellere’, ma conosce un’autonomia che, se non è affatto strana, però è degna di nota per il modo in cui descrive una situazione posteriore a un evento, che in sé è più difficile (e pericoloso) osservare. È un’autonomia che si è affermata soprattutto nell’ultima ventina d’anni — e così acquista anche una certa usualità che lo rende più spendibile, e rende più facile attingere alle sue connotazioni: i suoi sinonimi sono più trasparenti e facili, ma anche più drammatici, o enfatici.

Alberi divelti, insegne divelte. Lampioni divelti. Strade divelte, pietre divelte. Tetti, guardrail divelti, recinzioni divelte, targhe commemorative, panchine divelte. Sono attributi che ci parlano del passaggio di una furia, degli elementi o umana, che ha lasciato letteralmente a terra qualcosa che invece, prima, era su.

Il verbo latino vellere non ha dato frutti che siano poi risultati centrali, in italiano. Dal suo piede sono venuti fuori (anche con percorsi abbastanza laterali) e presi in prestito giusto il divellere, il vellicare, il vello — dal significato principale di ‘strappare il pelo’, che nel divellere prende il respiro più ampio di uno ‘strappare con violenza’, lo stesso che ha anche in italiano.

Ora, per indicare questo tipo di azione abbiamo delle risorse linguistiche abbastanza allineate. Lo ‘strappare’ stesso, che ha una forza molto manuale, tanto che se il vento ci strappa l’ombrello l’impressione è di una forza piuttosto rapinosa. Lo sbarbare, che è sempre molto manuale, e si rifà a uno sradicare (non c’è da precisare che le ‘barbe’ qui sono radici). Lo scalzare, che però è un’azione in questo senso meno conclusiva — un ‘togliere la scarpa’ che si fa in diverse declinazioni un ‘togliere l’intorno’, che non ha necessariamente un tratto violento di rimozione radicale, anzi è tipico di lavori ben ponderati. E poi abbiamo l’abbattere, l’atterrare, termini violenti la cui regia sceglie però di riprendere il momento del crollo più che quello dello strappo — e che pure spesso sono frutto di un’azione intenzionale.

Il divelto ci rappresenta un accaduto, frutto di quello strappo violento. Quella carrellata di piante, oggetti, costruzioni che dicevamo si ritrova strappata da dov’era e gettata altrove, a terra. Durante la burrasca e durante un’espressione violenta, probabilmente non si osserva il modo in cui l’albero viene sradicato dall’imponente forza del vento, non si coglie il momento in cui qualcuno con un piede di porco stacca la targa di pietra — magari ci rintaniamo, o siamo altrove; il divelto è un attributo di successo, che ci piace inserire nei racconti del dopo, perché ha quel tratto di costernazione così tipico di quando ci si riaffaccia sulla strada e sulla piazza. Il suo prefisso di(s)- indica allontanamento, separazione, ma non è sbrigativo come quell’s- che hanno tanti suoi sinonimi (e anche lo svellere, che dal divellere deriva), anzi è aggraziato.

Il divelto è un attributo di successo perché fa parte del ritorno della lucidità. Non è emozionante come lo sradicato, l’abbattuto, lo strappato, non è coperto come lo scalzato. La dice tutta e la dice bene.

Parola pubblicata il 11 Settembre 2023