Attingere
at-tìn-ge-re (io at-tìn-go)
Significato Prendere, tirare su; ricavare, trarre; raggiungere, toccare, conseguire
Etimologia voce dotta presa in prestito dal latino attingere ‘toccare, raggiungere’, derivato di tàngere ‘toccare’, con prefisso ad- che indica un avvicinamento.
Parola pubblicata il 02 Marzo 2020
Com’è che posso attingere acqua dal pozzo ed essere attinto da un pugno sul naso? Sono usi molto diversi, e specie l’attingere-raggiungere può suonare disorientante. Ma dopotutto i significati più semplici sono quelli che si prestano ad essere usati nei modi più varî— e qui dobbiamo fare i conti con le possibilità vastissime del ‘toccare’.
Entra in uso nel Trecento come voce dotta, presa in prestito dall’attingere latino, che è un semplice derivato di tàngere, ‘toccare’. E già guardando quell’attingere latino si capisce la varietà delle pieghe che un concetto del genere può prendere, perché oltre al significato generico del toccare, del raggiungere, era un verbo che poteva applicarsi tanto all’azione del prendere le armi o quanto a quella dello sfogliare un libro, di un occuparsi seriamente o di uno sfiorare appena. Pieghe che, in pratica, in italiano non sono passate.
Il nostro primo attingere è proprio l’attingere-raggiungere, generico, quello che troviamo nei verbali e negli articoli di cronaca quando raccontano che qualcuno “è stato attinto da un colpo di arma da fuoco”. Un toccare di sapore ormai letterario, spesso formale e sempre sostenuto, per cui potremmo attingere con lo sguardo una persona che ammiriamo, la casa può essere attinta dalla luce dorata del pomeriggio, l’amica nel caldo d’estate attinta da una secchiata d’acqua. Questo attingere-toccare diventa figuratamente anche un conseguire: l’imprenditore indefesso attinge una grande fortuna, il pittore attinge riconoscimento e gloria artistica.
Ma ciò che più conta ai fini del nostro normale uso di questo verbo è che il ‘raggiungere’ dell’attingere acquista (subito, già nel Trecento) il profilo di un ‘prendere’, in particolare di un ‘tirare su’ riferito all’acqua da fiumi e pozzi. Una specificazione molto precisa, che si è affermata in maniera fortissima — tanto da essere il primo senso con cui pensiamo l’attingere. Dopotutto è per prenderla che si raggiunge col secchio l’acqua in fondo al pozzo: un’immagine che ha un fascino senza tempo, che aggiunge il seguito di un ‘e portar via’ al ‘toccare’ dell’attingere. Gli usi concreti e figurati prosperano.
Per annaffiare posso, dicevamo, attingere l’acqua dal pozzo, ma posso anche attingere agli appunti del mio diario di viaggio per stendere un racconto, il giornalista sa bene da chi attingere le sue informazioni, il curatore smaliziato attinge in maniera disinvolta dai conti che gestisce, e l’anfitrione a cui piace alzare il gomito torna spesso ad attingere nuove bottiglie dalla cantina durante la cena, sempre più bordeggiante.
Sì: la più gran parte dell’attingere, oggi, è fatta dalla figura del secchio che cala nel pozzo. Ma se scordiamo il toccare, il raggiungere con cui nasce (e con cui in maniera non irrilevante, e anzi fine, è ancora usato), scordiamo la forza di questa immagine.