Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo aequanimus ‘sereno, calmo, moderato’, dalla locuzione aequo animo ‘con animo uguale’, composta da aequus ‘uguale’ e animus ‘animo’.
Davanti a certe parole importanti quasi viene da raccogliersi, e osservarle è quasi un pellegrinaggio; e spesso le parole che suscitano sentimenti del genere sono quelle che raccontano qualità limpide e ispiratrici. Questo è il caso dell’equanime, che parla di una serenità saggia, di cui la giustizia non è che un riflesso.
Infatti il concetto di ‘equo’ fa correre subito la nostra mente sui significati del giusto – decisioni eque, compensi equi. Ma questa corsa si slancia già su implicazioni successive, riflessi estesi: il nocciolo primo di significato dell’aequus latino (di etimologia ignota, senza famiglia oltre a quella che lui stesso genera) è il pari, l’uguale.
È dalla sua orizzontalità primigenia che germina l’equo come imparziale, bilanciato – e perciò giusto. Nessuna asperità, nessuna prominenza: ha la benevolenza dello spassionato. È calmo, è sereno, e questa è la garanzia del suo essere giusto e retto.
L’equanime nasce dalla locuzione latina aequo animo, una locuzione versatile, che nel latino tardo si univerba nell’aggettivo aequanimus: la qualità d’animo che individuava poteva rendere l’arcipelago dell’equilibrio interiore dalla pazienterassegnazione fino alla lucidità moderata e tranquilla, e ancora fino al buon grado, al volentieri. In italiano, recuperato già nel Duecento, l’equanime raccoglie questa messe di qualità in un sereno e giusto.
Potremo dire equanime il giudizio espresso dall’amico su una faccenda che credevamo lo irritasse e rispetto alla quale invece è perfettamente lucido, equanime quello del professore che valutando sa riconoscere al pari il punto di merito e quello di debolezza; è equanime la compassione di chi riesce a partecipare di entrambi i rovesci di una situazione; equanime il comportamento di chi usa lo stesso tono parlando con l’ambasciatrice e con la persona che chiede l’elemosina in strada.
Ma queste magnifiche articolazioni di significato celano un piccolo non detto poetico. La distesa – che sia il mare, la piana, il deserto – può invitare i significati di pari, di sereno, di giusto. Ma ispira libertà. L’equanimità è una declinazione della libertà. ‘Libero’ non significa ‘sereno e giusto’, ma non esiste ‘sereno e giusto’ che non sia libero.
Davanti a certe parole importanti quasi viene da raccogliersi, e osservarle è quasi un pellegrinaggio; e spesso le parole che suscitano sentimenti del genere sono quelle che raccontano qualità limpide e ispiratrici. Questo è il caso dell’equanime, che parla di una serenità saggia, di cui la giustizia non è che un riflesso.
Infatti il concetto di ‘equo’ fa correre subito la nostra mente sui significati del giusto – decisioni eque, compensi equi. Ma questa corsa si slancia già su implicazioni successive, riflessi estesi: il nocciolo primo di significato dell’aequus latino (di etimologia ignota, senza famiglia oltre a quella che lui stesso genera) è il pari, l’uguale.
È dalla sua orizzontalità primigenia che germina l’equo come imparziale, bilanciato – e perciò giusto. Nessuna asperità, nessuna prominenza: ha la benevolenza dello spassionato. È calmo, è sereno, e questa è la garanzia del suo essere giusto e retto.
L’equanime nasce dalla locuzione latina aequo animo, una locuzione versatile, che nel latino tardo si univerba nell’aggettivo aequanimus: la qualità d’animo che individuava poteva rendere l’arcipelago dell’equilibrio interiore dalla paziente rassegnazione fino alla lucidità moderata e tranquilla, e ancora fino al buon grado, al volentieri. In italiano, recuperato già nel Duecento, l’equanime raccoglie questa messe di qualità in un sereno e giusto.
Potremo dire equanime il giudizio espresso dall’amico su una faccenda che credevamo lo irritasse e rispetto alla quale invece è perfettamente lucido, equanime quello del professore che valutando sa riconoscere al pari il punto di merito e quello di debolezza; è equanime la compassione di chi riesce a partecipare di entrambi i rovesci di una situazione; equanime il comportamento di chi usa lo stesso tono parlando con l’ambasciatrice e con la persona che chiede l’elemosina in strada.
Ma queste magnifiche articolazioni di significato celano un piccolo non detto poetico. La distesa – che sia il mare, la piana, il deserto – può invitare i significati di pari, di sereno, di giusto. Ma ispira libertà. L’equanimità è una declinazione della libertà. ‘Libero’ non significa ‘sereno e giusto’, ma non esiste ‘sereno e giusto’ che non sia libero.