SignificatoUnità grafica di un sistema di scrittura; scanalatura, specie ornamentale; guida per un cursore mobile
Etimologia attraverso il francese glyphe, dal greco glyphé ‘intaglio, incisione’, da glýpho ‘intagliare, incidere’.
Questa parola si è guadagnata un’aura di mistero, di fascino esoterico. Sono glifi quelli che la squadra archeologica trova incisi sulla pietra riportata alla luce nello scavo (che si rivela l’architrave di un portale sepolto), glifi quelli che affollano il quaderno dell’alchimista, e naturalmente il mago, per produrre il suo incantesimo, traccia un glifo.
Ma l’idea da cui scaturisce questo termine è piuttosto semplice, e come vedremo di grande versatilità: l’intagliare, l’incidere, che sono i significati del verbo greco glýpho. Non è un verbo che oltre al glifo abbia dato frutti di molte parole, né molto note — possiamo citare giusto il gliptodonte, mammifero estinto una dozzina di migliaia di anni fa dalle fattezze di gigantesco armadillo dal guscio scanalato, e la glittica, cioè l’arte di incidere pietre dure e preziose, che ad esempio dà vita ai cammei (in foto, la Coppa dei Tolomei, in una foto di Sailko, esempio inarrivabile di glittica alessandrina).
Però il glifo ha conquistato di secolo in secolo un respiro sempre più vasto. Infatti parliamo di glifi in storia dell’arte, dove sono scanalature verticali ornamentali: frugando nel baule della memoria c’è chi ritroverà i triglifi, che si alternano alle metope scolpite nei fregi dorici dei templi greci. Ma parliamo di glifi anche in meccanica, quali guide dentro cui scorre un cursore (consideriamo il glifo oscillante). E in tipografia e in informatica il glifo è l’unità grafica di un sistema di scrittura: può essere un glifo un singolo carattere, due caratteri uniti con una legatura, e gli stessi puntini di sospensione spesso non sono tre punti giustapposti, ma un glifo speciale. Un’immagine fondamentale collegata a un suono — quali sono i glifi maya, e le incisioni sacre, geroglifiche, egizie.
Senza contare che ‘glifo’ può anche diventare elemento con cui comporre parole che variamente raccontano scanalature e incisioni: le impronte digitali sono lasciate dalla conformazione dei dermatoglifi della pelle dei nostri polpastrelli, e mentre i grandi enigmatici disegni come le Linee di Nazca sono chiamati geoglifi.
Un termine ricercato ma non astruso, e soprattutto eccezionalmente evocativo, che trae la sua drittura proprio dal suo essere sostanzialmente isolato nel modo di indicare un’incisione, un segno. Isolato, per quanto le sue ramificazioni possano coprire i simboli delle valute e dei segni zodiacali, incisioni che fanno da guida a corsoi, decorazioni pure, elementi di scrittura che emergono da passati remoti, e ciascun singolo segno che fin qui hai letto.
[Per chi se lo chiedesse, non c’è collegamento etimologico con la famiglia di parole che, partendo dal greco glykýs, racconta il ‘dolce’ — dalla glicemia al glicine.]
Questa parola si è guadagnata un’aura di mistero, di fascino esoterico. Sono glifi quelli che la squadra archeologica trova incisi sulla pietra riportata alla luce nello scavo (che si rivela l’architrave di un portale sepolto), glifi quelli che affollano il quaderno dell’alchimista, e naturalmente il mago, per produrre il suo incantesimo, traccia un glifo.
Ma l’idea da cui scaturisce questo termine è piuttosto semplice, e come vedremo di grande versatilità: l’intagliare, l’incidere, che sono i significati del verbo greco glýpho. Non è un verbo che oltre al glifo abbia dato frutti di molte parole, né molto note — possiamo citare giusto il gliptodonte, mammifero estinto una dozzina di migliaia di anni fa dalle fattezze di gigantesco armadillo dal guscio scanalato, e la glittica, cioè l’arte di incidere pietre dure e preziose, che ad esempio dà vita ai cammei (in foto, la Coppa dei Tolomei, in una foto di Sailko, esempio inarrivabile di glittica alessandrina).
Però il glifo ha conquistato di secolo in secolo un respiro sempre più vasto. Infatti parliamo di glifi in storia dell’arte, dove sono scanalature verticali ornamentali: frugando nel baule della memoria c’è chi ritroverà i triglifi, che si alternano alle metope scolpite nei fregi dorici dei templi greci. Ma parliamo di glifi anche in meccanica, quali guide dentro cui scorre un cursore (consideriamo il glifo oscillante). E in tipografia e in informatica il glifo è l’unità grafica di un sistema di scrittura: può essere un glifo un singolo carattere, due caratteri uniti con una legatura, e gli stessi puntini di sospensione spesso non sono tre punti giustapposti, ma un glifo speciale. Un’immagine fondamentale collegata a un suono — quali sono i glifi maya, e le incisioni sacre, geroglifiche, egizie.
Senza contare che ‘glifo’ può anche diventare elemento con cui comporre parole che variamente raccontano scanalature e incisioni: le impronte digitali sono lasciate dalla conformazione dei dermatoglifi della pelle dei nostri polpastrelli, e mentre i grandi enigmatici disegni come le Linee di Nazca sono chiamati geoglifi.
Un termine ricercato ma non astruso, e soprattutto eccezionalmente evocativo, che trae la sua drittura proprio dal suo essere sostanzialmente isolato nel modo di indicare un’incisione, un segno. Isolato, per quanto le sue ramificazioni possano coprire i simboli delle valute e dei segni zodiacali, incisioni che fanno da guida a corsoi, decorazioni pure, elementi di scrittura che emergono da passati remoti, e ciascun singolo segno che fin qui hai letto.
[Per chi se lo chiedesse, non c’è collegamento etimologico con la famiglia di parole che, partendo dal greco glykýs, racconta il ‘dolce’ — dalla glicemia al glicine.]