Illuminismo

il-lu-mi-nì-smo

Significato Movimento filosofico-culturale sviluppatosi in Europa nel corso del XVIII secolo, che si proponeva di combattere il pregiudizio e la superstizione con la promozione della razionalità

Etimologia dalla radice di illuminare, col suffisso -ismo, ricalcato sul tedesco Aufklärung ‘chiarimento, rischiaramento’.

L’illuminismo è uno di quei concetti sui quali pare finanche scontato convenire. Il termine deriva palesemente da lume, luce: quella della ragione, che deve illuminare ogni campo della realtà combattendo l’ignoranza, la superstizione e i miti per assicurare il progresso nella vita individuale e sociale. Il suo antonimo perfetto è oscurantismo – del quale chi mai potrebbe tessere le lodi? Oltre che come fenomeno culturale storicamente determinato, caratterizzante il 18° secolo in Europa, tendiamo a vedere l’illuminismo come radice intellettuale di ciò che chiamiamo ‘modernità’; e davanti a fenomeni attuali che contrastano con la nostra idea di un progressivo avanzamento dei lumi – l’imperversare di nazionalismi e guerre sanguinose, la diffusa intolleranza, la circolazione massiccia di false informazioni e folli teorie del complotto – la maggior parte degli intellettuali afferma che la terapia dev’essere più illuminismo.

Eppure, l’illuminismo si può avversare eccome. Ad esempio, se si ritiene che gli esseri umani non siano mossi dalla ragione, bensì dai sentimenti. Oppure per pessimismo, sfiducia nelle magnifiche sorti e progressive dell’umanità, tanto più dopo gli orrori del secolo scorso: guerre mondiali, apocalisse nucleare, shoah, stalinismo. O ancora perché si è reazionari, e perciò s’intende conservare tradizioni e ordinamenti costituiti, preservandoli dalla critica corrosiva della ragione. Tutt’altro che reazionari, però, erano Max Horkheimer (1895-1973) e Theodor Adorno (1903-1969): marxisti eterodossi, propugnavano una teoria critica al fine di cambiare la società e «liberare gli esseri umani dalle circostanze che li rendono schiavi». Eppure nella loro Dialettica dell’illuminismo (1947), scritta a quattro mani durante la Seconda guerra mondiale, i due pensatori tedeschi danno una risposta sbalorditiva alla domanda sul perché l’umanità, «invece di entrare in uno stato veramente umano, sprofondi in un nuovo genere di barbarie»: il motivo non è che si sia perso il lume della ragione illuministica, bensì che l’illuminismo implica già «il germe di quella regressione che oggi si verifica ovunque»; quindi quello del XX secolo non è un mondo obnubilato, oscurato, ma una «terra interamente illuminata», che pertanto «splende all’insegna di trionfale sventura».

Ma ad essere bacata è la ragione illuministica o proprio la razionalità in sé? Non sembra esserci differenza tra le due, secondo i Nostri, perché «storia universale e illuminismo diventano la stessa cosa»: l’illuminismo è un tratto peculiare della natura umana e della civiltà. Tutto nasce dalla paura davanti alla forza della natura, a cui gli umani reagiscono impadronendosene: «L’illuminismo (…) ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni». C’è quindi, all’origine, un rapporto distorto tra uomo e natura, una rottura dell’armonia originaria tra di essi, per cui il mondo è visto «come una preda», come qualcosa di cui appropriarsi per i propri fini, secondo una padronale «logica del dominio». Tale volontà di dominio, però, è fatalmente autodistruttiva, giacché gli umani finiscono per asservire sé stessi: per dominare la natura, infatti, devono sacrificare i loro istinti e desideri profondi, anteponendo il lavoro e la fatica all’ozio, il dovere al piacere: «La storia della civiltà è (…) la storia della rinuncia».

Questo processo culmina con la società capitalistica, in cui l’autodisciplina dell’homo oeconomicus si rivela funzionale al dominio – trionfo della ragione e trionfo della borghesia coincidono – ma era all’opera già in epoca antica, tanto che l’Odissea è «uno dei primissimi documenti rappresentativi della civiltà borghese occidentale». Ulisse è l’eroe borghese e illuministico per eccellenza, che sacrifica le pulsioni al dovere e alla volontà di dominio: infatti rifiuta di provare il loto, diventa amante di Circe ma senza subirne le conseguenze, da sovrano qual è vuole ascoltare il canto delle sirene, ma in tutta sicurezza («così come, più tardi, anche i borghesi si negheranno più tenacemente la felicità quanto più – crescendo la loro potenza – l’avranno a portata di mano»), mentre al popolo impone di remare con le orecchie turate.

Come se ne esce, allora? Nell’Eclisse della ragione (1947) Horkheimer sembra aprire uno spiraglio, decretando che in fondo quella illuministica non è l’unica ragione: è soggettiva, strumentale, utilitaristica, ben diversa dalla ragione oggettiva dei sistemi filosofici tradizionali, che si concepiva come sostanza delle cose e norma del conoscere e dell’agire. La ragione soggettiva, badando solo all’efficacia dei mezzi e disinteressandosi della bontà dei fini, è del tutto funzionale alla logica del dominio, mero strumento di fini stabiliti da altri – dal potere economico. Quindi la soluzione è tornare alla ragione oggettiva di Platone, Aristotele, Hegel? No: era bacata anche quella, perché «per il fatto stesso di vivere in un regime di ingiustizia sociale» è «impossibile formulare un’ontologia rispondente a verità». Ma allora, se il dominio è universale, com’è possibile la stessa teoria critica? Secondo Adorno, il pensatore odierno dev’essere contemporaneamente «nelle cose e al di fuori delle cose», come il barone di Münchhausen «che si solleva dallo stagno afferrandosi per il codino».

Ma sì, proviamoci – magari in un’uggiosa domenica pomeriggio, nella vasca da bagno, in tutta sicurezza.

Parola pubblicata il 20 Giugno 2023

Le parole e le cose - con Salvatore Congiu

I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.