Lanzichenecco
lan-zi-che-néc-co
Significato Mercenario tedesco rinascimentale; persona rozza e violenta
Etimologia dal tedesco Landsknecht, composto di Knecht ‘servo’ e Land ‘terra, regione, paese’.
Parola pubblicata il 27 Luglio 2023
lan-zi-che-néc-co
Significato Mercenario tedesco rinascimentale; persona rozza e violenta
Etimologia dal tedesco Landsknecht, composto di Knecht ‘servo’ e Land ‘terra, regione, paese’.
Parola pubblicata il 27 Luglio 2023
Usare una parola non significa saperla usare. Ogni termine, specie di quelli meno continuamente battuti, ha degli effetti che vanno padroneggiati: ad esempio una parola sesquipedale corre spesso il rischio di suonare ridicola, e richiede un po’ di precisione in più.
‘Lanzichenecco’ è un nome dal suono buffo, che resta nell’orecchio: dopotutto lo abbiamo imparato a scuola, c’è sempre una pagina di storia che cita i lanzichenecchi, e anche se non ne ricordiamo nient’altro, questa epigrafe ci resta scolpita in testa.
Ora, nell’esperienza e nella memoria italiana i lanzichenecchi sono dei mercenari tedeschi, o meglio dei territori del Sacro Romano Impero, del periodo del Rinascimento — in cui l’Italia è un campo fiorito d’arte ma anche un campo di battaglia perpetuo. Questo loro nome però ci aiuta a capire che dietro c’è qualcosa, una fenomeno sociale complesso: Landsknecht è spesso reso alla lettera come ‘servo del paese’ — un nome di respiro piuttosto ampio, che si attagliò (dapprima in maniera episodica, a partire dagli anni ‘70 del ‘400) a un certo profilo di mercenario germanico, dopo che nomi omologhi erano stati usati a vario titolo per ufficiali civili e per valletti d’arme.
Il profilo è classico: i figli cadetti di famiglie né troppo agiate né misere (come sappiamo proverbialmente, visto che non avrebbero ereditato) potevano tentare la ventura in guerra, e questa è la via del Landsknecht, servitore del paese (dell’Impero) all’estero. In particolare l’imperatore Massimiliano I, alla fine del Quattrocento, dette organicità a queste forze, ordinandole in un corpo mercenario che fece subito concorrenza ai mercenari per antonomasia del periodo, quelli elvetici, e che rimase sulla cresta dell’onda per un secolo e mezzo. Un gioco di parole abbastanza scoperto (che peraltro può aver influito sull’evoluzione della grafia) ci anticipa come erano armati: di lancia (Lanze), o meglio di picca, visto che erano fanti — ma in quanto corpo al passo coi tempi non mancavano di alabarde, spade moderne, archibugi, né ovviamente di cimieri vaporosi e brache variopinte.
In virtù della loro terribile efficacia, erano apprezzati e prezzemolini: nel Cinquecento li troviamo a catturare il re di Francia nella battaglia di Pavia, a combattere gli Ottomani che assediano Vienna, a reprimere rivolte in Spagna, a saccheggiare Roma — o come guardia del Granduca sotto alla Loggia dei Lanzi che da loro prende il nome, davanti a Palazzo Vecchio, a Firenze. Si fa tutto, basta pagare.
Naturalmente erano apprezzati da chi intendeva sfruttarne la forza: per le popolazioni inermi invece erano un flagello — anche perché integravano il loro incerto soldo con razzie e saccheggi. Questo quadretto tratteggiato senza approfondimenti ci permette di precisare l’evoluzione dei significati del nome.
Il lanzichenecco (ma spesso si conserva al plurale per esprimere una forza più collettiva) è lo sgherro. Qualcuno lo paga per esercitare la violenza al suo servizio. Ma per estensione, viste le attitudini e le scelte di vita del lanzichenecco storico, peraltro non di rado ammutinato e sbandato, diventa anche la persona rozza e violenta.
Si sa, ci piace tanto la categoria del barbaro, dei tipi zotici che per qualche motivo ci troviamo qui e che non rispettano ciò che secondo noi andrebbe rispettato. E si sa anche che i secoli sono uno sbianca & smacchia favoloso, quindi è normale che del lanzichenecco non resti in bella vista il vero terrore incusso per un’intera epoca negli ultimi (che badiamo bene, erano le nostre nonne e i nostri nonni — anche se probabilmente nell’albero genealogico abbiamo pure qualche lanzichenecco). Però il lanzichenecco non può essere semplicemente il vozzo e volgave che dà fastidio. Ha un’inclinazione connaturata alla violenza — violenza fisica.
Posso parlare dei lanzichenecchi che sono passati mettendo a ferro e fuoco i negozi della via, dei lanzichenecchi che alla manifestazione sportiva hanno la più oscena mano libera con la connivenza della forza pubblica e di chi comanda, dei lanzichenecchi della persona potente che si permettono ogni oltraggio. Invece non è un lanzichenecco il signore trasandato e odoroso che rutta e peta e dice volgarità al telefono in vivavoce, accanto a noi, a teatro.
Le parole vanno calcolate bene non solo perché è una questione di saper dire: una metafora esagerata diluisce, intiepidisce le figure estreme a cui possiamo fare riferimento per significare l’estremo. E magari l’onesto cinghiale si risente d’essere paragonato a una mano violenta, serva, sbandata.