Lanzichenecco

lan-zi-che-néc-co

Significato Mercenario tedesco rinascimentale; persona rozza e violenta

Etimologia dal tedesco Landsknecht, composto di Knecht ‘servo’ e Land ‘terra, regione, paese’.

Usare una parola non significa saperla usare. Ogni termine, specie di quelli meno continuamente battuti, ha degli effetti che vanno padroneggiati: ad esempio una parola sesquipedale corre spesso il rischio di suonare ridicola, e richiede un po’ di precisione in più.

‘Lanzichenecco’ è un nome dal suono buffo, che resta nell’orecchio: dopotutto lo abbiamo imparato a scuola, c’è sempre una pagina di storia che cita i lanzichenecchi, e anche se non ne ricordiamo nient’altro, questa epigrafe ci resta scolpita in testa.

Ora, nell’esperienza e nella memoria italiana i lanzichenecchi sono dei mercenari tedeschi, o meglio dei territori del Sacro Romano Impero, del periodo del Rinascimento — in cui l’Italia è un campo fiorito d’arte ma anche un campo di battaglia perpetuo. Questo loro nome però ci aiuta a capire che dietro c’è qualcosa, una fenomeno sociale complesso: Landsknecht è spesso reso alla lettera come ‘servo del paese’ — un nome di respiro piuttosto ampio, che si attagliò (dapprima in maniera episodica, a partire dagli anni ‘70 del ‘400) a un certo profilo di mercenario germanico, dopo che nomi omologhi erano stati usati a vario titolo per ufficiali civili e per valletti d’arme.

Il profilo è classico: i figli cadetti di famiglie né troppo agiate né misere (come sappiamo proverbialmente, visto che non avrebbero ereditato) potevano tentare la ventura in guerra, e questa è la via del Landsknecht, servitore del paese (dell’Impero) all’estero. In particolare l’imperatore Massimiliano I, alla fine del Quattrocento, dette organicità a queste forze, ordinandole in un corpo mercenario che fece subito concorrenza ai mercenari per antonomasia del periodo, quelli elvetici, e che rimase sulla cresta dell’onda per un secolo e mezzo. Un gioco di parole abbastanza scoperto (che peraltro può aver influito sull’evoluzione della grafia) ci anticipa come erano armati: di lancia (Lanze), o meglio di picca, visto che erano fanti — ma in quanto corpo al passo coi tempi non mancavano di alabarde, spade moderne, archibugi, né ovviamente di cimieri vaporosi e brache variopinte.

In virtù della loro terribile efficacia, erano apprezzati e prezzemolini: nel Cinquecento li troviamo a catturare il re di Francia nella battaglia di Pavia, a combattere gli Ottomani che assediano Vienna, a reprimere rivolte in Spagna, a saccheggiare Roma — o come guardia del Granduca sotto alla Loggia dei Lanzi che da loro prende il nome, davanti a Palazzo Vecchio, a Firenze. Si fa tutto, basta pagare.
Naturalmente erano apprezzati da chi intendeva sfruttarne la forza: per le popolazioni inermi invece erano un flagello — anche perché integravano il loro incerto soldo con razzie e saccheggi. Questo quadretto tratteggiato senza approfondimenti ci permette di precisare l’evoluzione dei significati del nome.

Il lanzichenecco (ma spesso si conserva al plurale per esprimere una forza più collettiva) è lo sgherro. Qualcuno lo paga per esercitare la violenza al suo servizio. Ma per estensione, viste le attitudini e le scelte di vita del lanzichenecco storico, peraltro non di rado ammutinato e sbandato, diventa anche la persona rozza e violenta.

Si sa, ci piace tanto la categoria del barbaro, dei tipi zotici che per qualche motivo ci troviamo qui e che non rispettano ciò che secondo noi andrebbe rispettato. E si sa anche che i secoli sono uno sbianca & smacchia favoloso, quindi è normale che del lanzichenecco non resti in bella vista il vero terrore incusso per un’intera epoca negli ultimi (che badiamo bene, erano le nostre nonne e i nostri nonni — anche se probabilmente nell’albero genealogico abbiamo pure qualche lanzichenecco). Però il lanzichenecco non può essere semplicemente il vozzo e volgave che dà fastidio. Ha un’inclinazione connaturata alla violenza — violenza fisica.

Posso parlare dei lanzichenecchi che sono passati mettendo a ferro e fuoco i negozi della via, dei lanzichenecchi che alla manifestazione sportiva hanno la più oscena mano libera con la connivenza della forza pubblica e di chi comanda, dei lanzichenecchi della persona potente che si permettono ogni oltraggio. Invece non è un lanzichenecco il signore trasandato e odoroso che rutta e peta e dice volgarità al telefono in vivavoce, accanto a noi, a teatro.

Le parole vanno calcolate bene non solo perché è una questione di saper dire: una metafora esagerata diluisce, intiepidisce le figure estreme a cui possiamo fare riferimento per significare l’estremo. E magari l’onesto cinghiale si risente d’essere paragonato a una mano violenta, serva, sbandata.

Parola pubblicata il 27 Luglio 2023