Lonfo
lon-fo
Significato Misterioso animale dal comportamento schivo, pigro, spesso dispettoso e imprevedibile
Etimologia neologismo introdotto da Fosco Maraini nella poesia Il lonfo, inclusa nella Gnosi delle fànfole (1978).
Parola pubblicata il 12 Luglio 2021
Parole d'autore - con Lucia Masetti
La lingua cresce con la letteratura – e noi abbiamo un bel mucchio di parole inventate da letterati, rese correnti da autori celebri, o che nascono da opere letterarie. Scopriamo insieme queste belle parole dietro alle quali si può sorprendere una mano precisa.
Può darsi che, così sui due piedi, non vi venga in mente che cos’è un lonfo. Ma tutto vi sarà chiaro se vi dico che non vaterca mai, né gluisce, e molto raramente barigatta. Se ancora non avete idea di cosa stia parlando, non preoccupatevi: in realtà non lo so nemmeno io.
Nessuno, in effetti, sa come sia fatto un lonfo. Probabilmente non lo sapeva bene neppure il suo inventore: un antropologo-orientalista-poeta-fotografo-giramondo, maritato con una nobile siciliana dal fiabesco nome di Topazia, nonché padre di ben tre donne di cultura (Dacia, Yuki e Toni, diventate celebri rispettivamente nel campo della scrittura, della musica e della critica letteraria).
Insomma, un personaggio peculiare tanto quanto la sua tecnica poetica, della quale Il lonfo costituisce l’esempio più celebre (grazie anche all’efficacissima lettura che ne fece Gigi Proietti). La “poesia metasemantica” – come la definisce il suo autore – utilizza sistematicamente parole prive di significato, simili però a termini esistenti per suono e morfologia e alternate ad alcuni vocaboli italiani.
‘Gluisce’, per esempio, è una parola inventata ma simile a verbi onomatopeici che descrivono versi animali (muggisce, ruggisce…). Ci fa capire, quindi, che anche il lonfo è un animale di qualche tipo.
La tecnica in verità ha un illustre precedente: il Jabberwocky, poesia contenuta nel seguito delle Avventure di Alice nel paese delle meraviglie e tradotta in italiano in innumerevoli modi, il più famoso dei quali è Il ciciarampa. Lewis Carroll, però, ha forgiato i suoi fantasiosi neologismi fondendo parole reali: per esempio mimsy, formato da flimsy (fragile, debole) e miserable. Le invenzioni di Maraini invece seguono percorsi meno prevedibili.
Entrambi gli autori comunque rispettano perfettamente le regole grammaticali e sintattiche (e per questo i loro testi si differenziano dal grammelot di Dario Fo, che pure sfrutta un meccanismo simile). Così anche le parole più oscure diventano semi-comprensibili grazie al contesto: come delle incognite matematiche, il cui valore è ricavabile dagli elementi vicini.
Il che è una commovente testimonianza, in effetti, di come il nostro cervellino sia perennemente impegnato nell’impresa di dare un senso a quello che incontra. Perfino il cinico più disincantato, a ogni frase che legge o ascolta, compie un atto di fiducia inconsapevolmente gigantesco: presuppone che quel messaggio abbia un significato, magari anche stupido o irrilevante, ma sensato. E se un significato non c’è, lui fa di tutto per cavarlo fuori.
Maraini, contando su questa fiduciosa disposizione, sfida il lettore a intraprendere il percorso inverso rispetto a quello solitamente compiuto dalle parole. Di norma prima compare l’oggetto, poi si crea la parola per nominarlo; qui invece abbiamo delle parole, come ‘lonfo’, prive di referente, e spetta al lettore inventare le cose cui corrispondono, attingendo alla propria esperienza conscia e inconscia per dare loro “significati, valori emotivi, profondità e bellezze” (come scrive l’autore nell’introduzione alla sua Gnosi delle fanfole).
La metasemantica, insomma, eleva all’ennesima potenza la polisemia tipica dei testi poetici, costruendosi su parole che vogliono dire tutto e niente. Parole che, per citare sempre Maraini, “non infilano le cose come frecce, ma le sfiorano come piume, o colpi di brezza, o raggi di sole, dando luogo a molteplici diffrazioni, a richiami armonici, a cromatismi polivalenti”.