Etimologia voce dotta recuperata dal latino mansuetus, propriamente participio passato di mansuescere, che composto da manus e suescere significa letteralmente ‘abituare alla mano’.
Questa parola buona per bestioni paciosi sembra facile e serena, e invece ha una complessità gagliarda per via delle non immediate implicazioni del suo significato originario.
Quel suescere latino che vi leggiamo dentro è lo stesso che troviamo nel consueto, nel desueto, nell’assuefatto, e racconta un abituare, un rendere avvezzo. Ora, l’elemento che dà concretezza a questo abituare è il riferimento alla mano. Mansuescere è propriamente un ‘abituare alla mano’, una mano che domina, che guida, che tira, che chiama, rappresentante di una volontà che controlla. Che possiede. Non stupisce quindi che il mansueto sia l’addomesticato: l’animale si fa accarezzare, ubbidisce.
Lasciando da parte gli animali addomesticati, il mansueto applicato agli umani racconta di conseguenza un carattere di mitezza, di docilità, di pazienza non incline all’ira. Il tipo mansueto in automobile non si scalda nemmeno davanti al peggiore sgarbo, la ragazza mansueta non si abbandona a intemperanze, e il collega mansueto trova subito la via della pacificazione.
Va detto: resta un che di pecorone, nella mansuetudine. Un che di manzo (che peraltro secondo alcuni linguisti è etimologicamente imparentato col manso e col mansueto). Sulla limpidezza di questo genere di bontà grava l’ombra della mano del profittatore, sotto cui il mansueto è arrendevole, debole, manipolabile, tonto. Insomma quella del ‘mansueto’ non pare una qualità incontrovertibilmente positiva, come potrebbe essere quella del ‘mite’ o del ‘pacifico’: si è mansueti rispetto a una mano, come animali.
Ciò nonostante la mano che domina il mansueto può essere tutta interiore. Chi si mostra mansueto davanti alla provocazione può non essere remissivo, ma intimamente controllato. E la mansuetudine è un carattere che adombra la possibilità del suo contrario: noti con piacere che la bestia è mansueta e si fa accarezzare perché di solito non lo è, e morde. E può sempre farlo, stai solo confidando in un’abitudine, in un carattere.
Così il mansueto, nella sua apparente semplicità, è in grado di proiettare ombre molto complesse, fatte di sottintesi, intimità imperscrutabili, scommesse. Dopotutto, un epiteto della dea greca Era è boôpis, ‘dagli occhi bovini’, ma ditemi se quando c’è in ballo lei si può stare sereni.
Questa parola buona per bestioni paciosi sembra facile e serena, e invece ha una complessità gagliarda per via delle non immediate implicazioni del suo significato originario.
Quel suescere latino che vi leggiamo dentro è lo stesso che troviamo nel consueto, nel desueto, nell’assuefatto, e racconta un abituare, un rendere avvezzo. Ora, l’elemento che dà concretezza a questo abituare è il riferimento alla mano. Mansuescere è propriamente un ‘abituare alla mano’, una mano che domina, che guida, che tira, che chiama, rappresentante di una volontà che controlla. Che possiede. Non stupisce quindi che il mansueto sia l’addomesticato: l’animale si fa accarezzare, ubbidisce.
Lasciando da parte gli animali addomesticati, il mansueto applicato agli umani racconta di conseguenza un carattere di mitezza, di docilità, di pazienza non incline all’ira. Il tipo mansueto in automobile non si scalda nemmeno davanti al peggiore sgarbo, la ragazza mansueta non si abbandona a intemperanze, e il collega mansueto trova subito la via della pacificazione.
Va detto: resta un che di pecorone, nella mansuetudine. Un che di manzo (che peraltro secondo alcuni linguisti è etimologicamente imparentato col manso e col mansueto). Sulla limpidezza di questo genere di bontà grava l’ombra della mano del profittatore, sotto cui il mansueto è arrendevole, debole, manipolabile, tonto. Insomma quella del ‘mansueto’ non pare una qualità incontrovertibilmente positiva, come potrebbe essere quella del ‘mite’ o del ‘pacifico’: si è mansueti rispetto a una mano, come animali.
Ciò nonostante la mano che domina il mansueto può essere tutta interiore. Chi si mostra mansueto davanti alla provocazione può non essere remissivo, ma intimamente controllato. E la mansuetudine è un carattere che adombra la possibilità del suo contrario: noti con piacere che la bestia è mansueta e si fa accarezzare perché di solito non lo è, e morde. E può sempre farlo, stai solo confidando in un’abitudine, in un carattere.
Così il mansueto, nella sua apparente semplicità, è in grado di proiettare ombre molto complesse, fatte di sottintesi, intimità imperscrutabili, scommesse. Dopotutto, un epiteto della dea greca Era è boôpis, ‘dagli occhi bovini’, ma ditemi se quando c’è in ballo lei si può stare sereni.