Matusalemme
ma-tu-sa-lèm-me
Significato Vegliardo, anziano di età estremamente avanzata
Etimologia dal nome del patriarca biblico Matusalemme, in ebraico Maṯūšélaḥ, dal significato dibattuto e composto di due parti, mat ‘uomo’, e il verbo shelah, cioè ‘inviare, lanciare, tirare’, che dà luogo anche al nome di un’arma che può essere lanciata.
Parola pubblicata il 30 Settembre 2022
Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini
Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.
La Bibbia è piena di personaggi dalla longevità spropositata, ma colui la cui durata di vita è diventata proverbiale è proprio quello che è campato più di tutti, battendo ogni record: Matusalemme, discendente di Adamo, nonno di Noè, deceduto a ben 969 anni. Una cosa mai vista. Pare che sia morto appena prima del diluvio universale, anche se alcune tradizioni affermano che sia campato addirittura altri quattordici anni.
Il significato del suo nome è dibattuto. In ebraico è Maṯūšélaḥ e si compone di due parti distinte. La prima, mat, significa ‘uomo’ e risale al verbo mut, dal significato di ‘uccidere’. L’uomo che è capace di uccidere, quindi, è un soldato, un guerriero. La seconda metà deriva dal verbo shelah, cioè ‘inviare’, mandare ma anche ‘tirare, scagliare’. Da esso deriva anche un nome che indicherebbe un’arma che va lanciata.
Assodati questi punti, gli studiosi si dividono tra chi afferma che Matusalemme significhi ‘l’uomo della lancia, del dardo’, e ‘colui che da morto sarà inviato’ o anche ‘la sua morte invierà’ (che cosa? Se diamo retta alla tradizione rabbinica, il diluvio universale). Questi dubbi di significato sono alimentati da un problema di fondo che affligge tutto l’ebraico della Bibbia: la vocalizzazione scritta delle parole. L'ebraico, in quanto lingua semitica, si regge sullo scheletro consonantico, e in origine le vocali semplicemente non erano annotate. Solo in epoca medievale i problemi di tradizione e traduzione hanno messo gli studiosi di fronte alla necessità di vocalizzare le parole. Ciò comporta innumerevoli interpretazioni per altrettante possibilità. I rabbini, nei secoli, si sono tuffati in questo mare magnum di ostiche esegesi e, così facendo, hanno creato il luogo comune dell’ebreo che ad una domanda non cerca una risposta, ma piuttosto un’altra domanda.
Ma noi, che rabbini non siamo, ci accontentiamo di invidiare a Matusalemme la sua ineguagliata longevità — nemmeno la Regina Elisabetta è arrivata a tanto! E soprattutto, a partire dal Seicento, in un registro del linguaggio comune che curiosamente è più famigliare che aulico, prendiamo questa sua caratteristica per parlare di persone estremamente vecchie, con coloriture talvolta spassionate (come quando diciamo che ad occhi adolescenti basta aver trent’anni per essere un matusalemme), altre volte non meno che polemiche e irrispettose. Questo accade più spesso con l’abbreviazione giovane di matusalemme, matusa, entrata in voga negli irrequietissimi anni ‘60: L’accademia? È inutile che provi ad entrare: il corpo docenti è composto da una manica di matusalemme arroccati sulle poltrone come cozze sullo scoglio, nemmeno un diluvio universale li scollerebbe da lì; oppure parla, parla pure quanto vuoi, matusa, a me non me ne frega niente! — che pischello irrispettoso.