Orazione

o-ra-zió-ne

Significato Preghiera; discorso pubblico

Etimologia voce dotta recuperata dal latino oratio, da orare ‘parlare in pubblico, pregare’, da os ‘bocca’.

C’è una simpatica ambivalenza, nell’orazione, che affratella discorsi e preghiere: si ascoltano orazioni in alti momenti della vita civile, si ascoltano orazioni durante il rito religioso. E se sbirciamo nello scrigno dell’origine prima, troviamo un riferimento sorprendentemente semplice — e a dire il vero un po’ assurdo.

Stiamo considerando modi di parlare particolarmente studiati, elaborati — quelli della retorica e dell’invocazione, che se non sono in assoluto i modi di parlare più alti che ci sono, poco ci manca.
Il fatto bizzarro è che in tutta evidenza il latino orare è un derivato diretto della parola os (oris al genitivo) che famosamente significa ‘bocca’. Il quadro che ci viene tratteggiato in questo modo è alla lettera un boccare. Messo così però non ha un gran carisma: il riferimento alla bocca nelle nostre locuzioni che riguardano il parlare è sempre piuttosto vile — riempirsi la bocca di certe parole, essere sulla bocca della gente, togliere di bocca o mettere in bocca, tenere la bocca chiusa e via dicendo, tutto molto sbavato, sbrigativo, bassotto.

Ma il latino la pensa, anzi la percepisce diversamente, e l’oratio si profila precisamente come linguaggio elaborato, impegno della bocca — che può prendere la sostanza dell’eloquio, quella della complessità intera della lingua, e naturalmente quella del discorso pubblico, anche nella variante di preghiera e di arringa. Ma qui c’è da fare attenzione.

L’orazione, in italiano, ha specificato molto il suo significato, e in particolare ha preso delle connotazioni di solennità che impongono una certa attenzione, nello spenderla: non ogni discorso rivolto a un pubblico è un’orazione.

Quando i vicini di casa fanno una festa di compleanno, nel clou dopo le candeline non sentiamo gridare oltre muri e giardini «O-ra-zio-ne! O-ra-zio-ne!»: il ‘discorso’, per quanto sappia volare alto, sa anche partecipare a occasioni più disinvolte, anche quando ha una certa pubblicità. La concione è radicalmente pubblica, ma può essere estemporanea e non è sempre un modo di parlare molto rispettato (anzi spesso notiamo le concioni con un po’ di insofferenza o scherno); d’altro canto il sermone, per quanto solenne, ci fa subito immaginare l’agitarsi di un dito indice, e una certa gravità moraleggiante. Sull’altro versante, l’orazione può valere in genere per ‘preghiera’, e con una certa sobrietà: dopotutto è un termine elevato, e va sempre bene per marcare la levatura con cui ci si rivolge all’alto. È un carattere che si nota bene a confronto con lo stesso termine ‘preghiera’, che ha un’aria più pronta, meno ingessata — per non parlare della drammaticità anche più teatrale delle ‘invocazioni’. Che gran dire.

Così posso parlare dell’orazione pronunciata dal sindaco quando una calamità colpisce la cittadina, posso leggere il testo di una vecchia, esagerata orazione declamata in parlamento, delle orazioni che si avvicendano in chiesa durante la quaresima.

Parola pubblicata il 27 Giugno 2024