Panglossiano

pan-glos-sià-no

Significato Esageratamente ottimista, idilliaco, che riconduce tutto necessariamente a un disegno positivo

Etimologia dal nome di Pangloss, personaggio del racconto filosofico di Voltaire “Candido, o l’ottimismo”.

Una parola dalle grandi possibilità, che però vanno considerate bene, perché non è semplice come pare. Il panglossiano è sì esageratamente ottimista, ma in una maniera precisa. Per comprenderla si deve partire dal celebre racconto filosofico di Voltaire del 1759 da cui nasce: Candido, o l’ottimismo.

Il personaggio più rappresentativo del racconto è il dottor Pangloss, precettore del protagonista Candido, e fautore di una particolare filosofia, che di solito viene sintetizzata nel ‘viviamo nel migliore dei mondi possibili’. C’era un filosofo che aveva sostenuto qualcosa del genere fra Sei e Settecento — uno dei più famosi. È Leibniz: in questa frase si sintetizzano certi suoi lunghi e complessi ragionamenti sulla giustizia divina, che affrontano la terrificante domanda del ‘Se Dio esiste, il male da dove viene?’. Dando una mezza risposta leibniziana (mi perdoneranno gli esperti), diciamo che perché l’uno organico del creato potesse includere alcuni aspetti, quale ad esempio il libero arbitrio, doveva comprenderne in maniera ineludibile altri che qualifichiamo come ‘male’, secondo una necessità impenetrabile — e insomma, vuoi davvero fare l’allenatore del lunedì con Dio?

Voltaire, scovandovi un limite della metafisica, la prende a ridere: dà a Pangloss un nome che parodia le speculazioni e i tentativi di comporre una lingua universale di Leibniz (pân in greco è ‘tutto’, glôssa ‘lingua’), e gli mette in bocca una versione caricaturale del ‘viviamo nel migliore dei mondi possibili’.

“Notate che i nasi son stati fatti per portare gli occhiali, infatti abbiamo gli occhiali. Le gambe sono visibilmente istituite per esser calzate, e noi abbiamo calzoni.”

Così parla Pangloss: il suo pensiero non prende le pieghe dell’ottimismo che intendiamo di solito, quello del “bicchiere mezzo pieno” e del “ma vedrai che andrà tutto bene”. Non è un ottimismo che cerca di vedere il buono, e che si proietta con buoni pronostici nel futuro. Sostiene, piuttosto, che siamo in una condizione in cui idillicamente ogni parte risponde perfettamente alle ineffabili esigenze delle altre, in un’armonia adamantina: le alternative teoriche sono semplicemente impossibili, e anche se ci sembra che qualcosa vada male, è solo una sfocatura del nostro punto di vista. Un atteggiamento lontano dalla nostra realtà quotidiana?

È forse panglossiana la fede nel mercato che si regola senza fallimenti e volgendo sempre al meglio; forse è panglossiano il sostegno a un’ideologia vissuta come infallibile, in cui ogni stortura è rivisitata come fisiologica e necessaria; è magari panglossiano l’atteggiamento dell’amico che reinquadra sempre come naturali, positivi e inevitabili gli aspetti deteriori della sua relazione; panglossiano, perfino, chi si arrampica industriosamente sugli specchi per confermare un’ipotesi indefettibile di cui è profondamente persuaso.

Se questo è ottimismo, è un ottimismo piuttosto strano, rispetto a quello che intendiamo abitualmente. È un ottimismo innamorato e cieco, in un idillio che rifiuta l’evidenza, trasforma gli effetti in cause, reinventa la storia dal finale, riprende tutti i fili perché nel suo ordito squassato dalla realtà tutto resti così come deve essere, così come unicamente può essere.

Parola pubblicata il 05 Aprile 2020