SignificatoMostro marino, rappresentato e descritto come cetaceo o serpente, anche con tratti volpini
Etimologia voce dotta recuperata dal latino pistrix o pristix, a sua volta prestito dal greco pístris o prístis — da prío ‘sego’.
Questa parola ci permette di condurre una piccola esplorazione nella nostra immaginazione.
Da un lato, nei nostri bestiari mentali, cerchiamo sempre di attribuire a ciascuna creatura fantastica e mostruosa i caratteri più ricchi e precisi che possiamo, ma dall’altro queste spesso sfuggono alla nostra volontà specificatrice, e restano creature dai contorni vaghi. Il che, in effetti, contribuisce a renderle ancora più affascinanti e carismatiche — ed è spesso una vaghezza non accidentale, ma strutturale e significativa.
La pìstrice è un mostro marino. Che tipo di mostro marino, ci chiediamo noi, che abbiamo visto caterve di documentari sulle acque profonde, su chi le abita e le ha abitate?
Se guardiamo i significati raccolti nel latino pistrix (o pristix), troviamo un’ambivalenza estremamente interessante: la balena e la nave da guerra — ingombranti leviatani. Ma si tratta di un prestito dal greco: il primo riferimento del greco pistris (o prístis) era quello del pesce sega (famiglia dei Pristidae), e proprio l’assimilazione del rostro a sega di tale pesce con quello della nave atto a speronare colma un salto semantico.
Mentre rileviamo con una stretta di spalle che queste circostanze non ci chiariscono le idee, aggiungiamo che la pistrice dall’epoca medievale è rappresentata con un profilo di serpente marino, abitatore dell’oceano, e che per bizzarri motivi iconografici prende volentieri fattezze volpine — quando non è proprio accompagnata da enigmatiche volpi pescatrici. La sua ambiguità di cetaceo poco cetaceo, di mostro marino dai tratti inafferrabili — solo, minaccioso e grande come un bastimento — si offre come base per un’immaginazione popolare e dotta di gran mordente: nessun riferimento chiaro, nessuna descrizione squadernata può pareggiarla.
Certo, possiamo notare come questo nome sia servito a indicare la meravigliosa costellazione australe della Balena (Cetus), che in effetti nelle rappresentazioni tradizionali ha poco a che vedere con la nostra idea di cetaceo; possiamo apprezzare l’aura che spande quale nome di nave (come quando la troviamo nella flotta di Enea) per il modo speciale che ha di aggredire il mare e i suoi mostri presentandosi come mostro del mare.
Ma forse il luogo più naturale della pistrice è nelle rappresentazioni dei cortei delle divinità marine, e nelle carte geografiche, e nei discorsi che seguono queste dimensioni d’immaginazione: la sua bizzarria minacciosa è misura del mistero imperscrutabile del mare; la sua forma inafferrabile e diversa è misura dello spaesamento dell’immaginazione — quello spaesamento atterrito che conserviamo dalla narrazione biblica di Giona ingoiato da una colossale creatura marina (pesce, balena, o proprio pistrice), fino al Terribile Pesce-cane di Pinocchio. Così possiamo raccontare delle pistrici che il nonno vedeva di notte durante la traversata da Acapulco a Manila, irridere una titubanza in acqua come paura della pistrice, parlare di un desiderio che si spinge dove stanno le pistrici.
Una parola che nel suo essere indefinita ci presenta nientemeno che un modulo della nostra fantasia.
Questa parola ci permette di condurre una piccola esplorazione nella nostra immaginazione.
Da un lato, nei nostri bestiari mentali, cerchiamo sempre di attribuire a ciascuna creatura fantastica e mostruosa i caratteri più ricchi e precisi che possiamo, ma dall’altro queste spesso sfuggono alla nostra volontà specificatrice, e restano creature dai contorni vaghi. Il che, in effetti, contribuisce a renderle ancora più affascinanti e carismatiche — ed è spesso una vaghezza non accidentale, ma strutturale e significativa.
La pìstrice è un mostro marino. Che tipo di mostro marino, ci chiediamo noi, che abbiamo visto caterve di documentari sulle acque profonde, su chi le abita e le ha abitate?
Se guardiamo i significati raccolti nel latino pistrix (o pristix), troviamo un’ambivalenza estremamente interessante: la balena e la nave da guerra — ingombranti leviatani. Ma si tratta di un prestito dal greco: il primo riferimento del greco pistris (o prístis) era quello del pesce sega (famiglia dei Pristidae), e proprio l’assimilazione del rostro a sega di tale pesce con quello della nave atto a speronare colma un salto semantico.
Mentre rileviamo con una stretta di spalle che queste circostanze non ci chiariscono le idee, aggiungiamo che la pistrice dall’epoca medievale è rappresentata con un profilo di serpente marino, abitatore dell’oceano, e che per bizzarri motivi iconografici prende volentieri fattezze volpine — quando non è proprio accompagnata da enigmatiche volpi pescatrici. La sua ambiguità di cetaceo poco cetaceo, di mostro marino dai tratti inafferrabili — solo, minaccioso e grande come un bastimento — si offre come base per un’immaginazione popolare e dotta di gran mordente: nessun riferimento chiaro, nessuna descrizione squadernata può pareggiarla.
Certo, possiamo notare come questo nome sia servito a indicare la meravigliosa costellazione australe della Balena (Cetus), che in effetti nelle rappresentazioni tradizionali ha poco a che vedere con la nostra idea di cetaceo; possiamo apprezzare l’aura che spande quale nome di nave (come quando la troviamo nella flotta di Enea) per il modo speciale che ha di aggredire il mare e i suoi mostri presentandosi come mostro del mare.
Ma forse il luogo più naturale della pistrice è nelle rappresentazioni dei cortei delle divinità marine, e nelle carte geografiche, e nei discorsi che seguono queste dimensioni d’immaginazione: la sua bizzarria minacciosa è misura del mistero imperscrutabile del mare; la sua forma inafferrabile e diversa è misura dello spaesamento dell’immaginazione — quello spaesamento atterrito che conserviamo dalla narrazione biblica di Giona ingoiato da una colossale creatura marina (pesce, balena, o proprio pistrice), fino al Terribile Pesce-cane di Pinocchio. Così possiamo raccontare delle pistrici che il nonno vedeva di notte durante la traversata da Acapulco a Manila, irridere una titubanza in acqua come paura della pistrice, parlare di un desiderio che si spinge dove stanno le pistrici.
Una parola che nel suo essere indefinita ci presenta nientemeno che un modulo della nostra fantasia.