SignificatoProvenire, diffondersi da un luogo, detto di odori, luci, aure e simili
Etimologia secondo alcuni, voce dotta recuperata dal latino tardo promanare, derivato di manare ‘spandere’, con prefisso pro- ‘avanti’.
Questa parola ha una potenza evocativa che sa meravigliare come poche, ma la sua storia, che parrebbe avere una solida aura classica, è leggermente disorientante — per via di certe incoerenze e anche perché non è contemplata da diversi dizionari etimologici importanti. Qual è il suo segreto?
Innanzitutto, il verbo ‘promanare’ è attestato in italiano solo nel 1932 (per gli interessati, la prima attestazione pare sia nell’opera Giorno per giorno del non più famoso scrittore Riccardo Bacchelli). Ripreso fra gli altri da Gadda e da Calvino, si diffonderà fino a diventare comune, come è ancora oggi. Ora, anche se l’attestazione è così tarda, qualcuno (come certi dizionari) potrà spiegarla senza alzare un sopracciglio dicendo che si tratta di un evidente recupero dotto del verbo promanare del latino tardo. Un prestito molto tardo, ma insomma, le parole latine non hanno data di scadenza, si possono recuperare all’italiano quando ci pare — anche oggi, volendo. Se non che…
Il verbo ‘promanare’ pare che in latino, classico o tardo, arcaico o medievale o rinascimentale, non ci sia mai stato. Almeno non in maniera abbastanza vigorosa da essere passato normalmente nei dizionari. E se certo qualche studioso saprebbe spiegare i non isolati riferimenti etimologici a questo verbo fantomatico, pare strano che nella sua evanescenza abbia potuto solleticare dei prestiti negli anni ‘30. Sia altro che un prestito latino? Forse, ma basta. È una storia da cui non caveremo le gambe — non qui. Il non raccapezzarsi è talvolta l’approdo giusto.
Il promanare ha un solo fratello, che è l’emanare. Ha provato a entrare in italiano anche il loro padre, manare, ma invano. Però è lui che contiene il succo comune del loro significato: uno stillare, un gocciolare, uno spandere, uno sgorgare e quindi un provenire, un derivare. Se l’emanare fotografa l’esalazione di questa diffusione da dentro a fuori, il promanare la osserva nel suo venire avanti da una fonte. Sono praticamente verbi speculari: la rosa emana profumo, il profumo promana dalla rosa. Questo non significa che siano la stessa zuppa, anzi.
Il promanare, nella forma intransitiva in cui si è affermato, ci porta dare alta evidenza a ciò che promana e al percorso che fa, prima che al punto da cui si diffonde. Il che è naturale, non didascalico, è la maniera con cui conosciamo il mondo, il modo del naso che da solo non sa dire direzioni e richiede l’integrazione di una piccola ricerca per individuare la fonte di un odore. Questo è vero non solo quando linearmente dico che un delizioso odore di cibo cucinato promana dalla porta dell’appartamento, ma anche quando anticipo la fonte e racconto che dalle tavole di pino promanava un forte odore di resina. Il nocciolo resta ciò che promana. E odore sì, ma non per forza.
Dalla vetrata colorata promana una luce pesante, dalla naturalezza con cui compi i tuoi gesti promana un’aura di padronanza e di carisma, un sentimento di pura benevolenza promana dal tuo sorriso, dal tuo racconto promana un senso forte di disagio. Un provenire che si fa derivare, sempre impalpabile — odori, luci, impressioni, aure, atmosfere, visioni. Un verbo di una grazia che svetta.
Questa parola ha una potenza evocativa che sa meravigliare come poche, ma la sua storia, che parrebbe avere una solida aura classica, è leggermente disorientante — per via di certe incoerenze e anche perché non è contemplata da diversi dizionari etimologici importanti. Qual è il suo segreto?
Innanzitutto, il verbo ‘promanare’ è attestato in italiano solo nel 1932 (per gli interessati, la prima attestazione pare sia nell’opera Giorno per giorno del non più famoso scrittore Riccardo Bacchelli). Ripreso fra gli altri da Gadda e da Calvino, si diffonderà fino a diventare comune, come è ancora oggi. Ora, anche se l’attestazione è così tarda, qualcuno (come certi dizionari) potrà spiegarla senza alzare un sopracciglio dicendo che si tratta di un evidente recupero dotto del verbo promanare del latino tardo. Un prestito molto tardo, ma insomma, le parole latine non hanno data di scadenza, si possono recuperare all’italiano quando ci pare — anche oggi, volendo. Se non che…
Il verbo ‘promanare’ pare che in latino, classico o tardo, arcaico o medievale o rinascimentale, non ci sia mai stato. Almeno non in maniera abbastanza vigorosa da essere passato normalmente nei dizionari. E se certo qualche studioso saprebbe spiegare i non isolati riferimenti etimologici a questo verbo fantomatico, pare strano che nella sua evanescenza abbia potuto solleticare dei prestiti negli anni ‘30. Sia altro che un prestito latino? Forse, ma basta. È una storia da cui non caveremo le gambe — non qui. Il non raccapezzarsi è talvolta l’approdo giusto.
Il promanare ha un solo fratello, che è l’emanare. Ha provato a entrare in italiano anche il loro padre, manare, ma invano. Però è lui che contiene il succo comune del loro significato: uno stillare, un gocciolare, uno spandere, uno sgorgare e quindi un provenire, un derivare. Se l’emanare fotografa l’esalazione di questa diffusione da dentro a fuori, il promanare la osserva nel suo venire avanti da una fonte. Sono praticamente verbi speculari: la rosa emana profumo, il profumo promana dalla rosa. Questo non significa che siano la stessa zuppa, anzi.
Il promanare, nella forma intransitiva in cui si è affermato, ci porta dare alta evidenza a ciò che promana e al percorso che fa, prima che al punto da cui si diffonde. Il che è naturale, non didascalico, è la maniera con cui conosciamo il mondo, il modo del naso che da solo non sa dire direzioni e richiede l’integrazione di una piccola ricerca per individuare la fonte di un odore. Questo è vero non solo quando linearmente dico che un delizioso odore di cibo cucinato promana dalla porta dell’appartamento, ma anche quando anticipo la fonte e racconto che dalle tavole di pino promanava un forte odore di resina. Il nocciolo resta ciò che promana. E odore sì, ma non per forza.
Dalla vetrata colorata promana una luce pesante, dalla naturalezza con cui compi i tuoi gesti promana un’aura di padronanza e di carisma, un sentimento di pura benevolenza promana dal tuo sorriso, dal tuo racconto promana un senso forte di disagio. Un provenire che si fa derivare, sempre impalpabile — odori, luci, impressioni, aure, atmosfere, visioni. Un verbo di una grazia che svetta.