Strumentalizzare
stru-men-ta-liz-zà-re (io stru-men-ta-lìz-zo)
Significato Servirsi di qualcuno o di qualcosa per un proprio fine rispetto a cui è estraneo
Etimologia da strumentale, derivato di strumento.
Parola pubblicata il 11 Gennaio 2024
stru-men-ta-liz-zà-re (io stru-men-ta-lìz-zo)
Significato Servirsi di qualcuno o di qualcosa per un proprio fine rispetto a cui è estraneo
Etimologia da strumentale, derivato di strumento.
Parola pubblicata il 11 Gennaio 2024
Se l’uso di una parola ne traccia il significato come il passo traccia il sentiero, lo strumentalizzare è tracciato da una masnada con scarpe chiodate.
Poche parole hanno una simile visibilità nel discorso pubblico, poche sono pronunciate in modo tanto intenso, con tanto scandalo, e in un modo tanto ricorrente da rasentare la compulsione. Proprio per questo è bene metterla sul tavolo e annusarla a dovere.
È una parola elefantiaca, e anche qui sta il suo successo: è così lunga che non si mette in dubbio dica qualcosa di pregnante e serio. È ottenuta con il suffisso verbale -izzare, uno dei più produttivi nell’italiano contemporaneo (fin troppo, la varietà langue) a partire dall’aggettivo ‘strumentale’ — un aggettivo per la verità tutt’altro che banale.
Infatti ha una certa ramificazione di significati. Secondo il ramo che ci interessa qui, parte dal significato di ‘che serve da strumento’ (un esempio, l’uso strumentale del gioco per far passare un concetto o insegnare un’abilità) — e di qui lo strumentale arriva a qualificare anche ciò che è fatto per secondi fini.
Il che è sorprendente, perché ci presenta una doppiezza nella stessa idea di strumento — pensavi fosse solo una selce come tante della sassaia? No, è una selce doppiogiochista perché l’ho affilata e oltre a fare il sasso fa anche il coltello. Ti sembra un vecchio osso, che come tutte le altre ossa osserebbe e basta? E invece è un osso voltagabbana, perché con questi buchini che ci ho fatto, se ci soffio dentro, suona.
L’attributo che lo strumentale ci racconta può essere proprio questo: io prendo qualcosa che (almeno teoricamente, si suppone) avrebbe una sua dimensione autonoma, e lo uso per raggiungere un mio scopo. Parte una polemica, ma non è una polemica genuina, di pancia, nata così perché alla gente sincera piace la repubblica: è una polemica strumentale che io, malfidato come un serpente, ho acceso per screditarti. C’è una manifestazione, ma non è una manifestazione che abbia veramente i fini dichiarati, quelli a cui si riferiscono gli striscioni e i cori: è una manifestazione strumentale, contro chi è al potere, e chi è al potere — che è sempre molto suscettibile — lo sa e lo dichiara ai giornali.
Abbiamo questo primo inevitabile rilievo, ignaro del suo potenziale ironico: usare qualcosa per qualcos’altro è moralmente riprovevole. Solo i sassi digrossati dall’erosione che hanno la decenza di restare a smottare sul fianco del monte sono sassi affidabili, le polemiche vanno bene ma solo se nessuno le porta da nessuna parte, e la gente deve volere una cosa alla volta.
La sesquipedale ‘strumentalizzazione’ (diciannove lettere, e fa un settenario tutta da sola) s’installa qui. Quando strumentalizzi, ti stai servendo di qualcuno o di qualcosa per un tuo fine. Un fine più o meno palese, e che soprattutto non riguarderebbe direttamente chi ò ciò di cui ti servi. Lo strumentalizzare però ha dei caratteri ulteriori.
È estremamente comune che qualcuno colga un evento o un fatto e lo adoperi per un fine proprio, che non pertiene a quell’evento o a quel fatto. Lo strumentalizzare però ha una certa prontezza rapace, e questo lo rende eccezionalmente adatto al carosello dell’attualità: una persona importante fa una dichiarazione, e io non le do nemmeno il tempo di chiudere la bocca che la strumentalizzo per portare acqua al mio mulino — non c’entrava niente con me, ma riprendo la dichiarazione, la reinquadro e la servo; il politico è nientemeno che scattante, quando c’è da strumentalizzare anche il fatto di cronaca più tangenziale (ma tragico), per dare valore al proprio impegno politico; con le forze giuste possiamo strumentalizzare un movimento, facendogli ottenere un risultato che interessa a noi, non a lui; e naturalmente strumentalizzo un problema della città per attaccare l’amministrazione (lo impugno a mo’ di clava e bam, sulla testa morale del sindaco).
Il concetto è di per sé sottile, sfaccettato, ingombrante, contraddittorio — mica semplice. L’uso ha un grado di intensità estremo, e una diffusione capillare: questo fa sì che sia un uso molto rumoroso e paradossalmente difficile da calibrare.
Si sovrappone e distingue dallo sfruttare, più palese; dall’usare, più semplice e vago; dall’approfittarsi e dal profittare, più tiepidi; dall’abusare, più grave. Ma forse, l’uso di un sinonimo o di una perifrasi può aiutare a togliere pressione a questa parola, a rimettere a fuoco ciò che con essa davvero intendiamo dire. Anche perché tende a essere usata in assoluto, lasciando ampi non-detti: se sento dire «non voglio che le mie parole siano strumentalizzate», difficilmente quest’espressione sarà corredata poi con le circostanze di chi, in effetti, ci vuole fare che cosa e come. Finisce per essere un verbo facile da strumentalizzare per quella branca di retorica in cui si dipingono dei ‘loro’ che tramano misteriosamente. Meglio prendersi la responsabilità dei propri concetti in modo più chiaro.