Tiul
tiùl
Significato Varietà linguistica: dialetto di Mosogno, località del Canton Ticino nella Svizzera italiana (valle Onsernone) — Culo
Etimologia dal latino culus ‘culo’.
Parola pubblicata il 06 Ottobre 2025
Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli
L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.
Parola di straordinaria costanza in tutto il dominio romanzo, e anche in tutti i dialetti italiani. Affrontiamo oggi il concetto di ‘tipo lessicale’, cioè di ‘base latina di partenza’.
Ci sono dei concetti assolutamente fondamentali, e lo vedremo in altre occasioni, come quello di ‘parlare’ per il quale i dialetti e le lingue romanze derivano la loro parola da forme latine diversissime tra loro: ‘fabulare’, ‘parolare’, ‘rationare’, ‘discorrere’, una delle quali s’è imposta in ogni zona a scapito delle altre; e ci sono poi concetti altrettanto di base che invece mostrano una forma sola, costante, dappertutto, che è andata incontro a mutamenti puramente fonetici (cioè dei suoni) ma è ancora assolutamente riconoscibile.
Culo (culus in latino) si dice così dappertutto, quasi senza eccezioni (come avviene per ‘pane’, che dappertutto si dice … pane) e questo la rende una parola utilissima per i glottologi che studiano la regolarità dei cambiamenti fonetici.
Ci sono zone (nel nord Italia) dove la ū latina diventa ü, ed ecco tutte le forme cü, cüü, cül. Ci sono zone dove la -l- tra vocali diventa -r-, e un quindi in certi dialetti sardi si dice curu (come in romeno si dice cur). Ci sono infine zone, estremamente periferiche e conservative, sulle Alpi, dove l’incontro tra c- e ü da luogo a un fenomeno chiamato palatalizzazione, per cui si sentono, in quei remoti luoghi, forme come chiü, o come quella di oggi, di un dialetto lombardo della Svizzera italiana (che è pienamente Italia da un punto di vista dialettale, e dove anzi gli studi dialettologici sono fiorentissimi e tenuti in grande considerazione) dove si arriva a dire tiul. La -l diventata finale (nei dialetti che hanno anticamente perso la vocale finale) è molto instabile, e in molti dialetti non è pronunciata, come in francese; e alzi la mano chi non ha detto /cul-de-sac/ pronunciato così, quando invece la -l è presente nella scrittura ma non nella pronuncia: approssimativamente si dovrebbe dire /küdsàk/.
E poi questa parola ci suggerisce un’altra considerazione, stavolta sociolinguistica: le lingue letterarie, standardizzate, come l’italiano, sono, direi per definizione, quelle che possiedono lessico stratificato, per livello di formalità, di ricercatezza, di tecnicismo. È chiaro che non è la stessa cosa, per fare un esempio, dire ‘crepare’ o ‘decedere’, o ‘campare’, ‘vivere’ o ‘sussistere’; o per rimanere al nostro tema di oggi, una cosa è dire ‘culo’, un’altra ‘ano’, e la branca medica che cura questa fondamentale parte del corpo si chiama, con un raffinato e pudico grecismo, ‘proctologia’.
Tutto ciò è frutto di una stratificazione storica, soprattutto scritta, che i dialetti non hanno avuto: ed esattamente per questo che sono restati dei ‘dialetti’. E quando queste parlate locali provano a creare dei registri letterari o tecnici perché, per motivi vari, si stanno avvicinando allo stato di lingua ufficiale nei loro territori, si trovano in difficoltà perché devono fare in pochi anni quello che spontaneamente è avvenuto con le grandi lingue nazionali in secoli. Ho partecipato a commissioni di terminologia dell’anatomia, per poter fare la segnaletica bilingue in ladino e sardo negli ospedali, e non era facile convincere i non esperti che il termine tradizionale, e l’unico davvero usato, in sardo per ‘ano’ (che è istampu de su c.: istampu in sardo, come s’immaginerà, vuol dire ‘buco’) non era particolarmente adatto in un referto specialistico di un proctologo, il quale sarà opportuno che a sua volta sia chiamato proctòlogu, e non dotore ‘e s’istampu ‘e su culu.
E che la mia proposta, anu, non era ‘come in italiano’, ma ‘come in tutte le lingue di cultura d’Europa’ e non era una ‘parola inventata’, anzi lo era, come l’80% delle parole che ci sono in un vocabolario (avete letto bene: l’80%); se non inventate, che è eccessivo, non ‘spontanee’, ma ‘create’ o ‘importate’.
In ladino una cosa simile: l’anatomia umana era conosciuta, nelle culture tradizionali, attraverso quella degli animali allevati, per cui tutta la terminologia anatomica si confonde – tipicamente – con quella gastronomica; avviene anche in italiano con ‘lampredotto’ per ‘abomaso’ o ‘rete’ per ‘omento’, ‘matrice’ per ‘utero’. I polmoni in ladino sono tradizionalmente chiamati ‘fegato bianco’ (fià blanch), e nonostante le mie proteste, questa espressione è stato accolta anche nei dizionari tecnico-medici, senza che sia passata la mia proposta, certo meno fantasiosa, di polmon.