Trasparenza

tra-spa-rèn-za

Significato Qualità di ciò che lascia passare la luce; qualità del facilmente comprensibile; chiarezza, schiettezza; in politica, mancanza di ambiguità

Etimologia voce dotta recuperata dal latino medievale transparens, derivato di apparens ‘apparente’, con sostituzione del prefisso con trans- ‘attraverso’.

Glasnost e perestrojka: nella seconda metà degli anni Ottanta Mikhail Gorbaciov, nuovo e ambizioso leader dell’URSS, rese universalmente noti questi due termini russi, parole-chiave del suo progetto riformatore: la perestrojka (ricostruzione, ristrutturazione) era l’architrave del nuovo sistema, di cui la glasnost (tradotto liberamente con ‘trasparenza’) era l’inevitabile complemento, giacché «non esiste e non può esistere democrazia senza glasnost». Difficile contestare un simile principio, sotteso anche alla ristrutturazione del Reichstag di Berlino – il parlamento tedesco – come casa di vetro aperta ai cittadini. E naturalmente la trasparenza non è un valore apprezzato solo in politica, se nei rapporti interpersonali equivale a chiarezza, schiettezza, onestà.

Ci vuole un bel coraggio, quindi, a scrivere un saggio su questo concetto vituperandolo in lungo e in largo. Ma certo non manca il fegato a Byung-chul Han (1956), pensatore sudcoreano-tedesco tra i più noti e discussi degli ultimi anni. La società attuale, secondo Han, adora la trasparenza perché è una società del positivo, nella quale ogni negatività è stata espunta in quanto «disturba e rallenta la piatta comunicazione dell’Uguale» e i «flussi del capitale, della comunicazione e dell’informazione». L’imperativo della trasparenza, insomma, è funzionale alla standardizzazione e accelerazione dei processi economici. Eppure, osserva Han, in tutti gli ambiti essenziali – il linguaggio, le relazioni, la vita stessa – sono imprescindibili l’opacità, la presenza incommensurabile dell’Altro, la distanza, la differenza. Solo le macchine e le cose morte sono totalmente trasparenti.

Byung-chul Han vede certe trasparenze e non approva (scatto di ActuaLitté - Prix Bristol des Lumières 2015).

La società della trasparenza è essenzialmente una società dell’informazione. Contrariamente all’opinione comune, trasparenza non equivale a verità, perché «l’iper-comunicazione anestetica riduce la complessità, per raggiungere una maggiore velocità». La comprensione richiede lentezza, ma questo è un peccato mortale nella società della comunicazione istantanea, dove l’unico valore è il fatto di «produrre interesse» e «le cose, divenute nient’altro che merci, devono essere esposte per essere». Viviamo in una società dell’esposizione, in cui «ogni cosa è esibita come una merce e consegnata all’iper-visibilità» e «ogni soggetto è l’oggetto pubblicitario di se stesso». Tutto è esibito, denudato, valutato secondo il suo «valore di esposizione»; nulla deve restare coperto, nascosto o indefinito. Questa società della trasparenza e dell’esposizione obbligata, per Han, è «oscena» e «pornografica».

Un tempo, la vita sociale era come un teatro, con una «distanza scenica» tra gli attori che è fondamento imprescindibile della socialità. Ma il mondo social di oggi è un mondo privatizzato e psicologizzato, in cui «l’intimità è la formula psicologica della trasparenza». Le reti sociali sono bolle dove ognuno incontra solo i suoi simili, nell’illusione di uno «spazio di prossimità assoluto» da cui siano bandite ogni negatività e alterità, sicché il mondo coincide con la comfort zone di ognuno. La società dell’intimità è «una società della confessione, dello svelamento e della mancanza pornografica di distanza», popolata da «soggetti intimo-narcisisti».

Ma c’è di più: questa «ideologia dell’intimità» che promette di soddisfare i bisogni profondi di ognuno, questo «vento digitale della comunicazione e dell’informazione» che «pervade ogni cosa e rende tutto trasparente», non mira chiaramente ad altro che all’interesse economico di chi lo gestisce. Rispetto al panottico di Bentham, tipico delle società disciplinari del passato, quello digitale odierno non si basa su un unico sguardo centrale che controlla, ma è «a-prospettico» e perciò più efficace, perché «si può essere illuminati da ogni lato, dappertutto e da ciascuno». Diversamente dagli abitanti del panottico benthamiano, quelli di oggi «collaborano attivamente alla sua costruzione e al suo mantenimento», esibendo volontariamente sé stessi e i propri dati «sul mercato panottico». Questa nuova «società del controllo» trasparente, dove ognuno tiene d’occhio l’altro a beneficio dei processi produttivi, è tuttavia percepita come libertà, perché l’auto-esposizione degli individui origina da «un bisogno auto-prodotto», quello di «esporsi alla vista senza pudore».

Ma almeno in campo politico la trasparenza sarà un valore da salvare? Neanche per idea. Anzitutto, per Han ogni vera politica implica una certa dose di riservatezza e segreto, e quei movimenti che propugnano la trasparenza assoluta, come il Partito Pirata tedesco, rappresentano la post-politica, cioè la depoliticizzazione. L’ideale della trasparenza totale implica partiti senza ideologia e senza colore, dove alle idee si sostituiscono le opinioni, messe tutte sullo stesso piano alla stregua di gusti, di like espressi sui social media, e costantemente rincorse con sondaggi permanenti; e in questa post-politica non esiste neppure una comunità in senso proprio, giacché «al posto della dimensione pubblica subentra la pubblicizzazione della persona»: vi sono solo «assembramenti casuali» di ego isolati, o individui riuniti attorno a un marchio commerciale. E infine, l’imperativo della trasparenza non è che il riflesso di una profonda mancanza di fiducia reciproca, e dimostra in ultima istanza quanto sia divenuto fragile il fondamento morale della società.

Certo, quella di Han è una visione decisamente scoraggiante. Ma a chi glielo fa notare, lui risponde con una frase divenuta ormai memetica: «Mi spiace, ma i fatti sono questi».

Parola pubblicata il 30 Gennaio 2024

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