Quando una virgola non è abbastanza — parte 1
Quanto cambia una virgola. Una serie di quattro articoli sull’uso e sugli effetti di questo segno: quando non basta, quando è di troppo, quando manca, quando è facoltativa.
Ti riconosco Voluttà dissolvente carezza agonia di lugubri delizie eccitatrice della terra sangue risucchi di baci lagrime desiderio orrore che le ciglia filtrano nell’amore ti riconosco a patto che tu chiarisca qui sotto questo vermiglio raggio appuntito che fa del tramonto un immenso microscopio la mia strapotente immortalità.
È scritto tutto così, l’Aeropoema del golfo della Spezia di Filippo Tommaso Marinetti: senza alcun segno di punteggiatura, secondo i principî del futurismo. Apprezzarlo o no, naturalmente, è questione di gusti, ma non si può negare che la forma sia coerente con la visione artistica del suo autore: per Marinetti le parole devono essere «in libertà», lo scopo essendo l’«accordo simultaneo», la compresenza tumultuosa di fatti, oggetti e stati d’animo, mentre la punteggiatura è «antisimultanea nella sua funzione logicatrice ordinatrice del periodo di cui separa gli elementi a guisa di chiusure stagne».
Qui, dunque, maestri e maestre depongano le matite rosse e blu, riservandole ad altri testi e contesti. Come ha giustamente osservato Bice Mortara Garavelli, autrice del più autorevole saggio sulla punteggiatura italiana, non esistono norme di interpunzione valide per qualunque testo, ma solo «usi accettabili, e quindi (…) variazioni nell’impiego della punteggiatura rispetto a un paradigma di regolarità fissato convenzionalmente».
Questo, s’intende, non autorizza chiunque ad invocare Marinetti o qualsivoglia altro scrittore a giustificazione della propria imperizia interpuntoria. La scrittura letteraria ha una sua funzione specifica, che non è quella dei testi giuridici, saggistici o giornalistici, i quali devono comunicare un determinato messaggio nel modo più chiaro e trasparente possibile, e in cui la punteggiatura deve svolgere la sua «funzione logicatrice ordinatrice del periodo». In ogni caso il problema non si pone, non profilandosi all’orizzonte folle di aspiranti scrittori futuristi, ansiose di liberarsi dal giogo delle regole interpuntive. Semmai, c’è una diffusa convinzione che non valga la pena di soffermarsi troppo sull’argomento: le regole essenziali ognuno le impara da sé, per esperienza, e il resto sono minuzie da scrittori o gusti soggettivi (e infatti l’interpunzione è la Cenerentola della grammatica, a cui i testi scolastici dedicano poche pagine frettolose, e di cui spesso si correggono solo le infrazioni macroscopiche). Ma è davvero così?
In parte sì. La maggioranza dei segni d’interpunzione non pone particolari problemi. È difficile, ad esempio, sbagliare nell’apporre un punto fermo; al limite si può abusarne un po’, spezzettando il testo in frasi molto corte, come è tendenza, da tempo, della scrittura giornalistica e letteraria; può piacere o meno, ma nessuno può dire che sia un errore. Anche segni come i due punti o le parentesi non pongono, in genere, particolari problemi. I segni di uso più incerto, semmai, ci si limita a ignorarli: in tanti vivono felicemente senza aver mai usato il punto e virgola o le lineette (trattini lunghi), cavandosela comunque benone. La virgola, invece, è un altro paio di maniche: non la si può ignorare e – nella sua apparente trascurabilità – è su di essa che si concentrano i maggiori dubbi e discussioni.
Ciò che scrive Luca Serianni nella sua Grammatica («Tra le varie norme che regolano la lingua scritta, quelle relative alla punteggiatura sono le meno codificate») è vero, a ben vedere, soprattutto per la virgola. Se si chiede ad un non specialista quali siano le regole per l’apposizione della virgola in italiano, risponderà grosso modo così: va messa per separare i membri di un elenco (ho comprato pasta, riso, latte…) e per dare la possibilità di respirare ogni tanto nella lettura, mentre non va mai, ma proprio mai, messa prima della congiunzione ‘e’. In realtà, lasciando da parte le enumerazioni, su cui – grosso modo – tutti sono d’accordo, la funzione primaria della virgola (come anche degli altri segni d’interpunzione) non è ‘respiratoria’, bensì proprio quella che Marinetti definiva «logicatrice ordinatrice del periodo», cioè logico-sintattica, demarcativa, funzionale al senso e all’architettura della frase. La respirazione segue altre logiche; se si mette una virgola solo perché la frase appare lunga e bisogna ‘prendere fiato’, quasi certamente quella virgola sarà fuori posto. Quanto poi al presunto divieto di apporre la virgola prima della congiunzione ‘e’, ci sono, come vedremo, situazioni in cui farlo è non solo possibile, ma utile e finanche indispensabile.
Enumerare i casi in cui si deve e quelli in cui non si deve mettere la virgola sarebbe operazione lunga e arida. Ci concentreremo quindi sugli usi impropri rispetto allo standard, a partire dai casi in cui la virgola non è abbastanza (cioè è usata al posto di altri segni d’interpunzione più forti o più specifici), proseguendo con quelli in cui è di troppo, quelli in cui al contrario è omessa abusivamente, per finire con quelli più difficili: i casi in cui è facoltativa – anche se a volte la sua presenza fa una differenza, più o meno grande.
Quando la virgola non basta
La virgola, quando è usata per separare due frasi, serve ad introdurre uno stacco leggero; se è necessaria un’interruzione più forte (specie quando il soggetto, il tempo o l’argomento cambiano), vanno usati il punto o il punto e virgola. Da qualche tempo, tuttavia, specie nelle scritture meno sorvegliate, si sta diffondendo un uso sovraesteso della virgola, la cosiddetta virgola splice, o virgola passepartout, che tende a sostituirsi agli altri segni. Prendiamo questo esempio:
Il ragazzo salì sul ponte della nave, il mare era calmo, a un certo punto un gabbiano si posò vicino a lui.
La virgola, in questo caso, è chiaramente insufficiente a separare le tre proposizioni, ognuna delle quali è semanticamente autonoma, con un proprio soggetto. La terza, oltretutto, implica un salto non solo logico ma anche cronologico (segnalato da a un certo punto). Dopo nave e calmo, quindi, andrebbero messi dei punti o dei punti e virgola. Lo stesso vale per quest’altro esempio:
Dall’inizio del 2006 questo strumento è stato sostituito dal PACTE, si tratta di un contratto di diritto pubblico destinato ai giovani fino a 26 anni (…).
In questo caso, sarebbe bastato omettere ‘si tratta di’ per rendere la frase più fluida, oppure usare i due punti, dato che la seconda proposizione è una spiegazione di un elemento della prima. Impiegare la virgola al posto di altri segni d’interpunzione più adatti crea spesso ambiguità:
Le proteste contro le misure anticovid nelle città olandesi dimostrano che questa crisi simultanea, sanitaria, economica e sociale, apre delle crepe anche dove sembra regnare il consenso.
Qui sembra che la crisi sia definita con quattro aggettivi (simultanea, sanitaria, economica, sociale); in realtà gli ultimi tre non sono che specificazioni del primo. Per eliminare l’ambiguità e il disagio nella lettura, sarebbe bastato mettere ‘sanitaria, economica e sociale’ tra parentesi, o racchiuderli tra due lineette:
Le proteste contro le misure anticovid nelle città olandesi dimostrano che questa crisi simultanea – sanitaria, economica e sociale – apre delle crepe anche dove sembra regnare il consenso.
A volte, l’uso della virgola splice può rendere davvero difficoltosa la lettura, come in questo caso:
Nel linguaggio parlato, infatti, è necessario essere eclettici, sapersi adattare alle varie situazioni è una soft skill fondamentale se si vuole lasciare un segno in chiunque ci stia ascoltando.
Nel leggere, inevitabilmente facciamo dipendere ‘sapersi adattare alle varie situazioni’ da ‘è necessario’, per poi restare smarriti nel constatare che invece è il soggetto di ‘è una soft skill fondamentale’. Sarebbe bastato mettere i due punti dopo ‘eclettici’ a eliminare il disagio.
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