Salpare

sal-pà-re (io sàl-po)

Significato Sollevare l’ancoraggio dal fondo; tirare in superficie; partire

Etimologia etimo incerto.

Nei dizionari ogni parola pare uguale all’altra, ma alcune sono molto più consunte di altre. E anche se ne possiamo continuare a leggere chiaramente il significato, da dove questo emerga a volte diventa un mistero che pare quasi irrecuperabile.

Per la successione dei significati che si è guadagnato in italiano, parrebbe che dapprima il salpare sia stato il sollevare l’ancoraggio di un’imbarcazione dal fondo a cui l’assicurava, e che sia quindi passato a significare il partire in maniera via via più figurata. Ma le acque sono molto confuse. Innanzitutto è esistita la variante ‘sarpare’, attestata alla fine del Trecento (mentre ‘salpare’ è di due secoli dopo), insieme ad altre forme antiche o dialettali: anche sapere quale sia il punto di partenza per risalire all’origine pare difficile. Qualcuno ha avanzato una derivazione dall’ipotetica voce del latino parlato exherpare ‘uscire dal porto’, mutuato dal greco exérpein, altri descrivono una transizione simile, ma dal greco exarpàzein ‘strappare’, attraverso l’ipotetico latino parlato exarpare; c’è perfino chi l’ha voluto da un non attestato disalpare, che potremmo leggere come un ‘mollare gli alpeggi’ alla fine della stagione estiva. È comunque affascinante come questo verbo abbia sobbollito nascostamente per secoli, prima di venire a galla nello scritto, e insomma, chissà quali erano gli ingredienti iniziali.

In questo caos ha un certo valore toccare e sentire il nocciolo semantico intorno a cui si è consolidato questo nostro verbo, il ‘salpare le ancore’; visto che ‘salpare’, all’orecchio, ci suona già come un partire dal luogo in cui si era ancorati, ‘salpare le ancore’ ci può suonare pleonastico — perché tirare in ballo le ancore? E invece il salpare è proprio quell’azione, fisica, faticosa, del tirare su dall’acqua. Infatti non si salpano solo le ancore, ma anche (un po’ impropriamente, notano i dizionari più ligi all’etichetta marinara) le reti, e in genere ciò che è sommerso. Solo con questa chiave, così sudata e sforzata, si arriva al salpare leggero di quando parliamo del collega salpato per un nuovo, entusiasmante lavoro, del desiderio di salpare per la Papuasia in una vacanza senza ritorno, del libro che abbiamo appena finito e ci lascia già pronti a salpare per una nuova lettura.

(Peraltro nel gergo marinaresco ‘salpare’, mercé quel senso di ‘recuperare’, vale anche per ‘sottrarre, appropriarsi di un oggetto altrui’. Un uso circoscritto ma gagliardo, «Ti ho salpato il cavatappi», «Non mi salpare l’accendino», «Chi mi ha salpato le cuffie?»: che evocazione formidabile.)

Parola pubblicata il 27 Giugno 2019